Abbiamo già avuto modo di parlare degli ologrammi e del grafene il materiale del futuro dalle infinite applicazioni. Questa volta le due cose sono correlate fra loro, in una ricerca interamente pubblicata su Nature. Ecco di che si tratta.
Il risultato di una ricerca condotta dalla Swinburne University of Tecnology che può essere sintetizzato così: generalmente la luce, quando attraversa i pixel che compongono un display olografico digitale, viene piegata in base all’indice di rifrazione del materiale. Modificando l’indice di rifrazione, la luce viene deviata in modo da generare un’immagine tridimensionale nello spazio sopra il display: un ologramma. I ricercatori Xiangping Li, Qiming Zhang, Xi Chen e il professor Min Gu hanno infatti dimostrato come sia possibile registrare con codifica olografica su un polimero composito di ossido di grafene (GO). Questa tecnica sviluppata attraverso impulsi laser, consente di modificare e controllare con precisione l’indice di rifrazione di pixel microscopici, composti dal GO. Si tratta di un materiale dalla struttura analoga al grafene ma con atomi di ossigeno aggiuntivi, che si presta fra le altre cose alla realizzazione di pellicole e rivestimenti trasparenti e flessibili, adatti per gli schermi di smartphone, tablet e altri dispositivi. Grazie alle nano-dimensioni dei pixel e alla possibilità di cambiare l’indice di rifrazione si è ora in grado riprodurre immagini 3D a colori vivide e naturali, con un ampio angolo di visione fino a 52°, decisamente superiore a quanto si ottiene con gli attuali schermi olografici a cristalli liquidi.
Per ora è stato realizzato un piccolo display dimostrativo, in grado di proiettare immagini di un centimetro.
Ma Min Gu e Xiangping Li, i due ricercatori che guidano la ricerca già da diversi anni, sostengono che la tecnologia potrà essere applicata senza limiti di scala. Secondo le loro stime, nel giro di cinque anni gli schermi 3D in grafene saranno pronti per un uso commerciale su gadget da portare in giro e da indossare.
I primi ologrammi realizzati sono quelli di un canguro e di un koala.
Lo stesso gruppo di ricerca studiava l’ossido di grafene da molto tempo e nel 2013 ha pubblicato gli esiti della ricerca sempre sulla rivista Nature.