Medicina Spaziale: l’ingegneria biomedica a servizio della ISS

Prima di partire per una missione spaziale, gli astronauti sono sottoposti a svariati controlli e godono quindi di perfetta salute. Non possono soffrire di patologie croniche e affrontano una rigida quarantena per evitare di contrarre infezioni. Tuttavia sono pur sempre umani e Dorit Donoviel, la scienziata a capo del National Space Biomedical Research Institute (NSBRI), che studia per la NASA i rischi legati alla salute in gravità zero ha dichiarato al Popular Science: “Tutto quello che ci può accadere sulla Terra può verificarsi anche nello Spazio. Puoi avere un calcolo renale, un mal di testa che non si risolve, una pressione troppo elevata nel cervello, un infarto. La Nasa deve preoccuparsi di tutte le possibili ripercussioni di un problema medico non risolto”.

La medicina spaziale non prevede ancora soluzioni efficaci per diagnosi importanti. La carenza di personale e attrezzature mediche specializzate e le condizioni microgravitarie renderebbero l’ipotesi di un intervento chirurgico in microgravità uno scenario da scartare. La soluzione consiste nell’organizzare un rientro di emergenza: un volo extra della Soyuz che costerebbe centinaia di milioni di dollari e rivoluzionerebbe i calendari delle attività in orbita. Senza contare che la Soyuz richiede un equipaggio di almeno tre persone e metà degli astronauti di turno sulla ISS dovrebbe rientrare prima del tempo.

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Tuttavia l’ingegneria biomedica si è messa al servizio della medicina spaziale e diverse istituzioni ed università stanno quindi lavorando a soluzioni alternative. La prima arriva dall’Università di Stanford dove i ricercatori hanno ideato un ecografo portatile ad ultrasuoni in grado di mostrare immagini in diretta del cuore in microgravità, nell’ambito del programma della Nasa Microgravity University. Il macchinario sta affrontando una serie di test in volo parabolico. Un’azienda che collabora con il NSBRI, la Sonomotion, ha invece ideato un dispositivo medico capace di diagnosticare e spostare i calcoli renali, in modo non invasivo con l’aiuto di ultrasuoni così da alleviare il dolore e rendere l’emergenza differibile. La stessa tecnologia potrebbe servire in futuro a rompere i calcoli in frammenti più piccoli, intervenendo anche in condizioni microgravitarie. In passato sono state molte le proposte, puramente concettuali e ancora poco realistiche, di ampliare la stazione spaziale con moduli in grado di ricreare le condizioni di gravità, roteando e creando forza centripeta così da consentire anche interventi chirurgici ma purtroppo la Nasa non ha fondi al momento da investire in questo campo.

 

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Antonio Piazzolla