Cristina Dalle Ore, astronoma trevigiana, è ormai di casa alla NASA. Ci lavora infatti dal 1997 e in questo speciale di Close-Up Engineering vi mostreremo il suo lavoro, fondamentale per la missione di New Horizons, parlando anche di alcuni interessanti interrogativi a cui Cristina ha gentilmente risposto in collegamento skype dalla California.
Da quanto tempo lavora alla Nasa e come è arrivata a far parte del team di New Horizons?
Lavoro a NASA Ames Research Center dal 1997, non molto tempo dopo aver finito il mio PhD in astronomia e astrofisica. Sono approdata sul team di New Horizons da quasi un anno, ma il mio ruolo sta prendendo importanza solo adesso che abbiamo iniziato a ricevere dati. Sono stata invitata a far parte del team in quanto il mio capo alla NASA e mio collaboratore più’ stretto ha seguito la missione dall’inizio partecipando in tutte le fasi. Come vice-leader del gruppo ‘Composizione’ mi ha invitata a contribuire con la mia esperienza nello studio della composizione di superfici ghiacciate della parte esterna del sistema solare.
In qualità di astronoma qual è il suo ruolo nel team?
Come accennato sopra mi occupo di studiare la composizione delle superfici attraverso l’analisi spettroscopica (remote sensing).
Qualche giorno prima del sorvolo la sonda è andata in safe – mode. Cos’è successo e cos’è la safe – mode?
La causa di fondo dell’anomalia e’ stata un problema di ‘timing’ difficile da prevedere, capitato durante le operazioni di preparazione per il ‘flyby’. I comandi per le operazioni di base del sorvolo si stavano caricando mentre il computer stava ancora facendo la compressione dei dati acquisiti. L’autopilota di New Horizons ha riconosciuto l’anomalia e, come programmato, ha passato il controllo al sistema di backup. Questo ha messo New Horizons in ‘safe mode’ e ha iniziato a trasmettere informazioni telemetriche a terra per aiutare a diagnosticare il problema. Si definisce ‘safe mode’ lo stato in cui tutti i sistemi a bordo di New Horizons, a parte quelli vitali, vanno in ‘stand by’. Questo succede appunto quando una anomalia viene registrata dal computer di bordo e il computer non e’ programmato ad affrontarla, per cui si spegne e il computer di backup prende il comando. La navicella a questo punto punta verso terra e attende istruzioni. Chiaramente gli ingegneri di New Horizons sono riusciti a risolvere il problema letteralmente al volo e a rimettere tutto a posto in tempo per il ‘flyby’, per cui tutto e’ poi proceduto come pianificato dopo il momento di ‘suspense’.
Quanto scoperto fino ad ora ha soddisfatto le aspettative della missione?
Senza dubbio. Alan Stern, il PI della missione, ha sempre detto che la sua prima aspettativa era di essere sorpreso da Plutone. Continuiamo ad avere sorprese come visto dalle foto già’ pubblicate. L’interpretazione dei dati ci terra’ occupati per mesi, forse anni ed e’ già’ fonte giornaliera di eccitazione e stupore. E’ un momento veramente eccezionale che ci permettera’ di avanzare la nostra conoscenza del sistema solare in modo determinante e in pochissimo tempo. La sonda ci ha dato una spinta verso il futuro.
Parliamo della tecnica HYPERSPECTRAL: in cosa consiste e quali sono i metodi analitici adoperati?
I dati spettrali di Plutone, raccolti dallo spettrografo a immagini LEISA, ci arrivano in forma di cubi in cui la superficie e’ una fotografia a relativamente bassa risoluzione ( il numero di pixel cambia a seconda della distanza a cui i dati sono stati acquisiti: la risoluzione varia da un centinaio di km per pixel a meno di un km per pixel). Per ogni pixel della fotografia c’e un corrispondente spettro che copre lunghezze d’onda tra circa 1. e 2.5 micrometri. In parole semplici, un cubo LEISA corrisponde ad una pila di fotografie, ciascuna acquisita a diverse lunghezze d’onda. E’ chiaro che un cubo contiene una quantità’ gigantesca di informazione che puo’ essere analizzata in modo diverso. Infatti io sono parte di un piccolo gruppo di tre scienziati: ognuno di noi analizza i dati con i propri metodi per poi confrontare i risultati. In questo modo siamo sicuri di non fare errori. Il mio metodo preferito adotta una tecnica di classificazione come primo approccio al numero impressionante di spettri da analizzare. Praticamente applico tecniche di ‘big data’ come primo passo, poi una volta ridotto il problema a dimensioni ‘umane’ interpreto I risultati con l’aiuto di modelli che riproducono le curve spettrali basandosi sulle costanti ottiche dei materiali presunti appartenere alla superficie. E’ uno studio che si basa sul ‘trial and error’: facendo il confronto tra gli spettri rappresentativi e quelli calcolati ricavo la composizione.
Terminata la missione cosa ne sarà di New Horizons? Avrà altri incarichi? Sono previste nuove missioni su Plutone?
Si sta cercando di far approvare dalla NASA un’estensione della missione che permetterebbe di far passare New Horizons vicino a un altro corpo celeste più’ piccolo di Plutone, della famiglia di oggetti della Kuiper Belt.
Al momento non ci sono progetti per un’altra missione a Plutone.
Cristina ha un messaggio per voi lettori, per i giovani studenti e i suoi colleghi, nella diretta qui sotto, in cui parliamo della geologia di Plutone e Caronte, del recentissimo pianeta abitabile scoperto da Kepler e di altre curiosità: