In nove per undici anni intorno allo Stromboli. Alla fine hanno elaborato un modello, che ribalta completamente la visione dinamica dei processi eruttivi, ripreso dalla rivista internazionale Nature Communications.
Maurizio, ci spieghi qual è il valore della vostra scoperta?
L’idea generale in vulcanologia è che le colate di lava siano alimentate da un magma, che risale molto velocemente (fra i tre ed i dieci m/s) da una camera magmatica situata a dieci-quindici chilometri di profondità. Secondo questo modello classico, la lava risale in superficie perché la pressione, all’interno della camera magmatica, aumenta al punto tale da essere espulsa dal vulcano. Nessuno, però, sa dire per quale motivo la pressione aumenti. I meccanismi, che portano un vulcano ad eruttare lava, rimangono tuttora sconosciuti.
Quindi, la novità?
Beh, la novità del nostro lavoro consiste nell’aver raccolto prove inconfutabili – undici anni di dati – secondo cui la lava, durante le eruzioni, non risale direttamente dalla camera magmatica profonda, perché è già’ salita nell’arco di mesi – a volte anni e quindi molto lentamente – nella parte superficiale del vulcano. Quando la quantità’ di lava all’interno del vulcano raggiunge un limite critico, la lava fuoriesce per effetto del suo “peso” ed apre una bocca laterale.
Che tipo di implicazioni può avere questa scoperta, soprattutto in materia di protezione civile, ai fini della prevenzione?
Se avessimo ragione, il nostro modello rivoluzionerebbe la visione dinamica dei processi eruttivi. Il modello classico non ha modo di prevedere l’evoluzione e le conseguenze delle eruzioni di lava. La nostra tesi, al contrario, lega la posizione della bocca eruttiva alla quantità di lava presente nel vulcano e permette di prevedere con buona approssimazione non solo la sua evoluzione, ma anche i possibili effetti sul sistema magmatico profondo.
Questa tesi si può estendere ad altri vulcani?
Anche se l’analisi delle modalità’ di fuoriuscita della lava nel corso di altre eruzioni ci fa ben sperare, ancora non abbiamo evidenze che possano confermare la validità’ del modello su altri vulcani. Inoltre, non sempre i dati necessari sono disponibili ed occorreranno altri anni prima di avere conferme definitive.
Con quali strumenti avete operato?
Il modello che abbiamo sviluppato si basa su dati sismici, deformazione del suolo, radiazione termica e pressione acustica. Per cui gli strumenti utilizzati sono stati: cinque sismometri a larga-banda, tre inclinometri ad alta sensibilità installati in fori di cinque metri sotto terra, due telecamere termiche, un’ antenna di trecento metri di apertura di sensori acustici che rilevano piccole variazioni della pressione atmosferica. Tutta la strumentazione è stata installata sulla sommità del vulcano, a trecento e ottocento metri di distanza dai crateri attivi.
Cosa è stato particolarmente tosto in questo studio?
Installare la strumentazione. Ma, soprattutto, garantire la continuità’ del sistema di monitoraggio. In questo tipo di analisi è importante che tutto il sistema di registrazione funzioni senza interruzioni. Questo ha richiesto a ciascuno una presenza a Stromboli di quasi quattrocento giorni per undici anni ed una cura continua della strumentazione, che si trova tutta vicino la sommità del vulcano. Inoltre, poiché la maggior parte dei miei collaboratori è precaria, è stato molto difficile e stressante contare sulla continuità dei fondi per il personale.
Lo Stromboli è un vulcano particolare?
Progetti per il futuro del tuo team?
Su questi argomenti abbiamo più collaborazioni con diversi Istituti di ricerca, soprattutto in Islanda, Giappone, Inghilterra e Francia. Oggi siamo coinvolti in due progetti europei e cerchiamo di esportare l’esperienza che abbiamo fatto a Stromboli su altri vulcani.