Intervista a Cristina Dalle Ore, l’astronoma italiana che studia Plutone [2° parte]

In questa intervista a Cristina Dalle Ore, astronoma trevigiana vice-leader del gruppo “composizione” del team New Horizons, parleremo delle recenti scoperte relative al più famoso pianeta nano di tutti i tempi. Tratteremo anche della questione economica, dei finanziamenti di cui la ricerca scientifica necessita e di come i costi per le missioni spaziali non siano così elevati come si crede.

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Alan Stern, il responsabile scientifico di New Horizons, ha recentemente dichiarato che «Plutone ci sta mostrando una diversità di morfologia e una complessità di processi forse addirittura superiore a tutto ciò che abbiamo finora visto nel sistema solare. Se un artista avesse disegnato in questo modo una raffigurazione di Plutone prima del nostro sorvolo ravvicinato, probabilmente l’avrei definita assolutamente esagerata. Invece è proprio quello che si trova lassù». A cosa si riferisce di preciso?

Durante il passaggio di New Horizons è stato possibile ottenere osservazioni alquanto ravvicinate della superficie ghiacciata di Plutone. Le immagini, molte già pubblicate, mostrano una varietà di superfici su un territorio piuttosto limitato. Val la pena di ricordare che Plutone è relativamente piccolo, il suo raggio è solo un quinto di quello della Terra e due terzi di quello della nostra Luna. È anche per questo che quando ci si presentano paesaggi come quelli ‘visti’ da New Horizons si resta sorpresi dalla varietà della morfologia: da rilievi aspri e alquanto alti, a dolci colline, a dune, a pianure ampie e ghiacciate. Tutto in relativamente pochi chilometri quadrati. Tutto ciò è affascinante in quanto porta ad immaginare situazioni fisiche complicate che possono aver indotto la formazione di tali strutture geologiche quali quelle osservate dalla sonda spaziale. Inoltre se confrontato con la nostra stessa Luna il paesaggio di Plutone ci suggerisce immediatamente una storia evolutiva anche più complicata di quella già affascinante della Luna.

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Jeff Moore, direttore del gruppo di Geologia, Geofisica e Imaging (GGI) allo Ames Research Center della NASA ha commentato così alcune catene montuose fotografate di recente: «Le montagne disposte in modo caotico potrebbero essere enormi blocchi di duro ghiaccio d’acqua, galleggianti su un vasto deposito di azoto congelato, più denso e morbido, all’interno della regione informalmente chiamata Sputnik Planum». Dunque è lecito pensare che sulla superficie di Plutone ci siano elementi allo stato liquido nonostante le temperature estreme? Questi elementi subiscono trasformazioni continue considerata l’escursione termica elevata (45 K −228 °C)?

Alla temperatura media della superficie di Plutone e alla pressione atmosferica locale, l’azoto, uno dei ghiacci che si sa sono presenti sulla superficie, è solido, come si può vedere dal diagramma di fase che allego (da Prokhvatilov & Yantsevic 1983). Tuttavia a queste temperature così basse si può dire che in termini relativi l’azoto è “meno solido”, o stabile, del ghiaccio d’acqua che gela a temperature di gran lunga più alte dell’azoto. Vorrei anche aggiungere che l’azoto su Plutone è quasi sempre mescolato con metano e altre componenti per cui le sue caratteristiche chimico-fisiche potrebbero essere diverse dall’azoto puro. Tutto questo è parte di ciò che stiamo studiando: finché la composizione della superficie non è conosciuta in dettaglio è difficile capire le vere condizioni fisiche e chimiche della superficie.

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In questo contesto, si ipotizza un campo di dune scure, probabilmente prodotte dal vento. Durante la prima emozionante osservazione di “eclissi” di Plutone, gli scienziati si sono accorti della presenza di una foschia atmosferica la quale genera un effetto crepuscolare che illumina leggermente anche il terreno sul lato notturno. Che tipo di atmosfera è presente su Plutone? Ci sono fenomeni meteorologici che potrebbero effettivamente dato origine a quelle dune?

L’atmosfera è molto tenue ed estesa ed è predominantemente composta da azoto. Le dune, come tante altre caratteristiche della superficie di Plutone, sono una nuova scoperta. Come tale, non sono ancora state spiegate e il processo di studio è ancora a uno stadio iniziale.

Su Caronte sappiamo adesso che ha avuto un passato piuttosto “travagliato”. Mesi fa parlando della Mordor Macula, la macchia scura presente al polo Nord, ci ha confessato che non eravate ancora in grado di interpretarla. Ora si sa qualcosa sul suo conto?

 

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La bassa larghezza di banda (2,000bits/s) disponibile fa si che i dati spettroscopici che ci daranno alcuni degli indizi fondamentali sulla sua natura non ci siano ancora arrivati. La nostra speranza è di ottenere nei prossimi due o tre mesi le informazioni necessarie a interpretare le immagini di Caronte. – a tal proposito, per chi volesse approfondire l’argomento, Cristina ci propone due link davvero interessanti: Link1 e Link2.

Lei ha lavorato anche al Seti. Lo scorso luglio l’imprenditore russo Yuri Milner, accompagnato da Stephen Hawking, ha annunciato di voler donare 100 milioni di dollari, nel corso del prossimo decennio, per finanziare la ricerca di forma di vita extraterrestre. Quanto è importante continuare a cercare “ET”?

 

Yuri Milner

La ricerca della vita è alla base di buona parte degli studi astronomici, dal sistema solare agli exo-planets e oltre. Lo scopo ultimo e fondamentale è di capire dove ci porterà il progresso nella sua avanzata inesorabile e qual è il destino della nostra civiltà. Se ci si ferma a pensare qual è il motivo recondito della ricerca di intelligenza extra-terrestre è proprio quello di poter “vedere” nel nostro futuro. È chiaro che ci sono grandissime difficoltà e incertezze in questa impresa, ma il goal finale è forse uno dei più importanti nella storia dell’umanità ed è anche quello che ci distingue tra le molte specie che abitano il pianeta. Il blog Wait But Why descrive in modo abbastanza ampio e completo l’ipotesi del “Grande Filtro”, che nel contesto del paradosso di Fermi (= dove sono tutte le civiltà predette dall’equazione di Drake?) proporrebbe una spiegazione, presentata da Robin Hanson, al fatto che non si siano ancora trovate altre civilizzazioni al di fuori della terrestre. Secondo l’ipotesi del Grande Filtro ci sarebbe qualcosa di “sbagliato” nelle condizioni che portano alla conclusione che la presenza di vita intelligente sia probabile e che la ricerca di SETI dovrebbe aver già dato dei risultati. Il “fattore mancante” nell’equazione di Drake sarebbe la presenza di questo “ostacolo” nell’evoluzione delle specie che impedirebbe lo sviluppo oltre un certo livello. Quando questo filtro agirebbe nella storia delle civiltà non è definito, come peraltro non è stato dimostrato che questa ipotesi sia corretta. Leggendo il blog diventa chiaro perché la ricerca di SETI e in generale della vita al di fuori della nostra Terra sia sempre importante.

In molti sostengono che i finanziamenti per la ricerca spaziale siano uno spreco economico per l’umanità facendo anche assurdi paragoni del tipo: “Abbiamo denaro a sufficienza per cercare acqua su Marte, ma non per dissetare le popolazioni del terzo mondo.” Per difendere la ricerca è stata calcolata la cifra dell’intera missione di New Horizons, pari al solo costo settimanale delle truppe statunitensi in Afghanistan così da sottolineare come gli “sprechi” siano altri. Parliamo di quanto è importante la ricerca spaziale, considerando i numerosi contribuiti che ha fornito per migliorare il tenore di vita dell’uomo.

Ho sentito anch’io questa critica spesso diretta agli studi spaziali in genere. L’intera missione New Horzons è costata circa 700 milioni di dollari, un costo non lontano dalla media per le missioni spaziali. Al cittadino americano è costata solo qualche centesimo all’anno ($2.00 per cittadino, 20c all’anno se si conta che è stata una missione di 10 anni), un vero affare considerato l’entusiasmo prodotto in USA e nel mondo soltanto il giorno dell’approccio a Plutone. Ma il vero beneficio di una missione come New Horizons è la spinta che da alle nuove generazioni a esplorare, a imparare, a non avere frontiere specialmente quando si tratta di conoscenza. Insegna a collaborare, a sognare per poi pianificare e per realizzare il futuro che, se adesso sembra lontano e forse irraggiungibile, può essere realizzato con l’avanzamento della scienza. E più praticamente, come stato dimostrato più volte, la ricerca spaziale produce invenzioni che poi diventano parte della nostra vita quotidiana: dal telefono cellulare alle luci LED, dal cibo liofilizzato alle macchine che usiamo quotidianamente per mantenerci in forma, questi sono solo alcuni esempi di quanto la ricerca spaziale abbia influenzato il nostro modo di vivere.

A supporto di quanto avevamo calcolato (New Horizons=una settimana di guerra in Afghanistan) Cristina ci mostra un conteggio svolto da scienceogram.org. Le ultimi missioni spaziali sono costate rispettivamente: Voyager 1e2 (3 miliardi e 600 milioni di dollari), Curiosity (2 miliardi e 800 milioni di dollari), Rosetta (2 miliardi e 500 milioni di dollari), New Horizons (900 milioni di dollari – contando alcune spese aggiuntesi a missione già avviata), Dawn (500 milioni di dollari). Il totale è di 30 miliardi di dollari. Se pensate che siano tanti, sappiate che il costo per mantenere le truppe americane in Iraq per un mese equivale alla stessa cifra.

Se vi siete persi la prima parte dell’intervista a Cristina cliccate qui.

Published by
Antonio Piazzolla