La scienza di Star Wars
Cosa c’è di scientificamente vero nella fantasia di George Lucas? Cos’è più realizzabile tra spada laser e scudo protettivo? Ve ne parleremo in questo speciale di Close-up Engineering in occasione dell’uscita di “Star Wars: Il risveglio della Forza” dal 16 dicembre al cinema!
Sono passati quasi 40 anni dal suo primo episodio, ma la nota saga cinematografica creata da George Lucas non smette di appassionare grandi, piccoli, nerd e non grazie anche alle stupende colonne sonore di John Williams. Scritta nei primi anni settanta, è una della poche serie di space opera cinematografiche. Concepita in nove atti, venne poi condensata in 6 pellicole. I primi tre film prodotti dal 1977 al 1983 e formarono la cosiddetta trilogia originale composta da: Episodio IV, Episodio V, Episodio VI.
Ma cosa c’è di scientificamente vero nella fantasia di George Lucas? Cos’è più realizzabile fra spada laser e scudo protettivo? Ve ne parleremo in questo speciale di Close-up Engineering, dedicato all’uscita del VII episodio della più avvincente saga cinematografica, Star Wars: Il risveglio della Forza dal 16 dicembre 2015 al cinema!
Tutti da bambini abbiamo impugnato un oggetto fingendo, con la beata persa fantasia infantile, che fosse una spada laser. Ma se fosse possibile costruirne una, potrebbe essere utilizzata in combattimento? La risposta è quasi certamente no. Per prima cosa, la luce del laser è emessa in avanti e il raggio laser è visibile solo in ambienti fumosi, ergo ad occhio nudo non vedremmo un tubo. Come si può colpire un bersaglio con un lama invisibile? Ma andiamo avanti, una luce laser così potente da tagliare qualsiasi cosa proseguirebbe per migliaia di chilometri e non per poco più di un metro come nelle pellicole cinematografiche: gestire una lama lunga chilometri è ovviamente impensabile. Inoltre la spada sarebbe sbilanciata poiché tutta la massa andrebbe a pesare nell’impugnatura rendendo la lama poco manovrabile. Quando la luce del laser incontra la luce di un altro laser questa la passa senza che la due interagiscano tra loro, a contrario di quanto abbiamo visto al cinema. Le onde elettromagnetiche infatti si possono sovrapporre senza collidere. Un esempio della vita reale? Grazie a questo principio possiamo trasmettere su varie frequenze radio e siamo in grado di percepire i colori.
Ad onor del vero, va detto che in in inglese la spada laser si chiama lightsaber, ossia sciabola di luce, senza alcun riferimento al laser che è sempre stato fatto invece dalla cultura popolare. Si può dunque ipotizzare una lama costituita da un fascio estremamente intenso di particelle accelerate a velocità relativistica: un doppio fascio di elettroni all’esterno e protoni all’interno. La luce sarebbe emessa per effetto Cherenkov, lo stesso fenomeno che colora di blu l’acqua dei reattori nucleari. Questo tipo di luce viene emesso quando una particella carica si muove ad una velocità superiore a quella della luce nel mezzo in cui si trova (la luce rallenta del 30% nell’acqua). Ma per emettere luce Cherenkov nell’aria l’energia degli elettroni deve essere molto elevata (nell’aria infatti la luce rallenta molto di meno). Questo sistema viene utilizzato comunemente nei telescopi Cherenkov che studiano gli sciami prodotti nell’atmosfera da parte di sorgenti astrofisiche di altissima energia. Le spade laser potrebbero quindi respingersi tra loro come avviene nei film grazie alla repulsione elettrica tra le particelle cariche nei fasci, che poi si ricombinerebbero sulla punta della spada.
Il laser c’è, ma non si vede. Si trova nell’elsa della spada ed è utilizzato per accelerare le particelle. Questa tecnica, inventata dal fisico francese Gerard Morou, sta rivoluzionando il mondo degli acceleratori di particelle, consentendo di raggiungere energie elevate in spazi molto più ridotti. Sovrapponendo centinaia di fasci laser con altrettante fibre ottiche è infatti possibile creare campi elettromagnetici così intensi da accelerare particelle cariche.
Anche noi “ALZEREMO GLI SCUDI” ?
Ogni astronave degna di questo nome, all’interno del mondo di Star Wars, deve essere equipaggiata con un sistema di scudi deflettori in grado di proteggere la nave dai raggi laser dei nemici e dai mini corpi celesti che potrebbero colpire l’astronave durante la navigazione. Fantascienza? No, realtà. Secondo un gruppo di studenti di fisica dell’Università di Leicester, infatti, gli scudi deflettori sono scientificamente possibili, con la sola differenza che tale scudo impedirebbe la visuale all’esterno dell’astronave. Nell’articolo pubblicato dai tre studenti di fisica (Alexander Toohie, Joseph Macguire e Alexandra Pohl), viene proposto l’utilizzo di un potente magnete dal calibro di quelli già usati nella tecnologia medica per bloccare il raggio di un laser. L’idea è quella di creare un guscio di plasma super-caldo caricato elettricamente e orientato attorno all’astronave grazie ad un campo magnetico. I calcoli mostrano che uno scudo sufficientemente denso potrebbe essere prodotto con un campo magnetico di 5 Tesla.
La fonte di energia proposta nello studio sarebbe in grado di alimentare lo scudo deflettore di una piccola astronave. Gli scienziati, inoltre, hanno proposto anche una soluzione al problema della visibilità : ovvero, grazie all’utilizzo di una fotocamera a ultravioletti che consentirà ai piloti di vedere il mondo esterno, utilizzando frequenze al di fuori della gamma dello scudo. I giovani ricercatori cercheranno, in poche parole, di costruire qualcosa di simile allo strato di plasma che circonda il pianeta Terra, proteggendolo dai detriti e dalle radiazioni provenienti dallo spazio. “L’atmosfera terrestre è composta da diversi strati distinti, uno dei quali è la ionosfera”, spiega al sito phys.org Alexander Toohie, uno degli autori dello studio. “La ionosfera è un plasma e si estende a circa 50 km sopra la superficie della Terra. Proprio come il plasma descritto nel nostro documento, esso riflette alcune frequenze di radiazione elettromagnetica, in questo caso radiofrequenze. Un’altra possibile applicazione di questo principio potrebbe essere quello di intrappolare le radiazioni all’interno di un guscio di plasma. Sarebbe utile per applicazioni che richiedono ambienti che lavorano a temperature incredibili, come reattori a fusione sperimentali.
Si ringrazia della collaborazione Gianmarco Valletta.