Software sempre più avanzati danno vita a Robot sempre più efficienti al punto da ridisegnare, poco alla volta, ogni aspetto della società e dell’economia. Secondo alcuni esperti nel giro di 5-10 anni i robot lavoreranno nelle fabbriche, nei negozi, negli uffici e nei campi. Ci ruberanno il lavoro? Per alcuni si, per altri no. Facciamo chiarezza.
Gadget della vita quotidiana connessi tra loro e con la rete, mobili e accessori domestici intelligenti, auto che guidano da sole, robot per ogni evenienza. Queste piccole e grandi rivoluzioni tecnologiche, nate per semplificarci la vita, contribuiscono indirettamente a rimodellare le nostre abitudini e con esse la nostra società. Stando ai dati statistici presentati al World Economic Forum di Davos, i paesi occidentali stanno attraversando la quarta rivoluzione industriale: il mondo del lavoro sta cambiando radicalmente e per alcuni esperti le nuove tecnologie potrebbero portare ad una perdita di 5 milioni di posti nelle 15 economie più grandi del mondo entro i prossimi 5 anni. Il dato è il risultato della differenza tra i futuri 7 milioni di posti di lavoro rimpiazzati dall’elettronica, dai robot e dalla disintermediazione commerciale resa possibile dalla Rete, e i prossimi 2 milioni di nuovi posti creati per far spazio a nuove professioni. In cima alla classifica di queste 15 potenze economiche ci sono Stati Uniti, Cina, Australia, India, Italia, Giappone, Francia, Germania e Regno Unito.
L’allarmante dato trova conferma in uno studio di Gartner, una società multinazionale leader mondiale nella consulenza strategica, ricerca e analisi nel campo dell’information technology con oltre 60.000 clienti nel mondo. Secondo questo studio, entro il 2025 un terzo delle mansioni oggi svolte dagli esseri umani sarà portata a termine da software o robot, in un arco temporale di circa 9 anni cioè il doppio di quanto ipotizzato dagli esperti. Chi rischia di perdere il posto? Le professioni a rischio non sono solo quelle pesanti, ripetitive o logoranti: per la prima volta nella storia l’elettronica sta entrando anche nel mondo dei colletti bianchi e dei cosiddetti “lavori della conoscenza”: scienziati, ricercatori, medici, professionisti. I nuovi supercomputer infatti sono in grado di portare a termine numerosi processi come archiviare documenti, effettuare un pagamento, affiancare un architetto o un ingegnere durante la realizzazione di un progetto rendendo disoccupati impiegati e segretarie.
Un valido esempio è certamente Uber che ha mandato a casa operatori e operatrici dei centralini delle compagnie di Taxi. Niente più telefonate, grazie all’app si prenota direttamente la vettura e il pagamento avviene in maniera digitale. Secondo Gartner però non c’è da preoccuparsi: lo scenario più probabile è che i colleghi di metallo entreranno nelle aziende e negli uffici come fecero i robot nelle industrie automobilistiche degli anni ‘60: migliorando l’efficienza dei processi, riducendo gli errori e aumentando la qualità del lavoro.
Alcuni di questi sistemi sono già in fase di test. La Starship Technologies, la start-up di Ahti Heinla and Janus Friis (coofondatori di Skype), è pronta a testare sul campo un robot autonomo in grado di coprire l’ultimo miglio delle consegne a domicilio: addio fattorino! Tally, il robot di Simbe Robotics una startup della Silicon Valley, è stata progettata per lavorare nei grandi magazzini. Può controllare quali merci sono disponibili, se sono della giusta quantità e sul giusto scaffale, verifica che abbiano il prezzo e che questo sia corretto: non può ancora correggere gli errori ma è in grado di visionare fino a 15.000 oggetti l’ora. Ultimo ma non meno importante è Prospero, un robot contadino realizzato da David Dorhur, un inventore dello Iowa. Dotato di 6 “zampe”, può muoversi su ogni terreno, lavora in flotte di decine di esemplari capaci, in poche ore, di seminare ettari di suolo. Non utilizza GPS nè altre tecnologie complicate: si limita a guardare ciò che ha davanti e se trova una porzione di terra non seminata, provvede. Il suo inventore spera di trasformarlo anche in un valido muratore/operaio di tutto rispetto.
Ci aspetta dunque un futuro da disoccupati? No. A sostenerlo è Martin Ford, uno dei massimi esperti di robotica e autore del libro “Rise of the robots”. Insieme a lui ci sono anche i ricercatori della Boston University, secondo i quali le macchine svolgeranno solo i compiti più noiosi e ripetitivi perché nulla può e potrà sostituire la creatività umana. Ciò non ha comunque impedito a molte testate giornalistiche di divulgare articoli apocalittici che vedono protagonista una società cyborg-dipendente e disoccupata. Partiamo dal principio. La ricerca presentata al World Economic Forum si chiama Future Jobs ed il suo lancio ufficiale è stato il seguente: “The Fourth Industrial Revolution,combined with other socio-economic and demographic changes, will transform labour markets in the next five years, leading to a net loss of over 5 million jobs in 15 major developed and emerging economies”.
“La quarta rivoluzione industriale , in combinazione con altri cambiamenti socio- economici e demografici , trasformerà i mercati del lavoro nei prossimi cinque anni , portando ad una perdita netta di oltre 5 milioni di posti di lavoro in 15 principali economie sviluppate ed emergenti.”
Va comunque ricordato che lo studio non mette in diretta correlazione machine learning e robotica con la perdita dei lavori. Non si parla di posti persi per colpa della tecnologia ma di come le trasformazioni portate dalla tecnologia incideranno sul mercato del lavoro portando alla perdita di complessivi 5 milioni di posti. Ladri coi circuiti non sono stati ancora inventati. Esiste invece un nuovo indice chiamato skills stability che misura la tenuta delle competenze che ci rendono indispensabili per alcuni mestieri: un software ci sostituisce quando è più bravo e veloce di noi nel coprire quelle abilità che caratterizzano alcuni settori: edilizia, sanità e comunicazione sono solo alcuni esempi.
“In media, nel 2020, più di un terzo dei principali gruppi di abilità impiegate nelle attuali occupazioni sarà fatto di competenze che non sono ancora considerate cruciali nei lavori di oggi”.
In breve, secondo Future Jobs, sono a rischio:
Professioni del settore amministrativo (attività burocratiche, segreteria)
Operai e artigiani per il settore edile e manifatturiero
Settore bancario, finanziario
Professioni sanitarie (inservienti, infermiere ed esperti di management)
Professioni ingegneristiche (Pare che non siano al sicuro, ma non ditelo ai fondatori di CUE)
Questi lavori non sono inutili ma appartengono a settori che oggi sono entrati in una fase di profonda trasformazione in cui ad esempio i BIG DATA che assumono un ruolo sempre più centrale e quindi è più facile che un manager ospedaliero non venga rimpiazzato da un software ma da un manager ospedaliero che sappia anche come funziona la data analysis. Chi si salva? Psicologi, i maestri elementari e in generale tutti quei lavori dove competenze come l’empatia non sono rimpiazzabili, vale a dire cioè tutti quei mestieri, anche manuali, in cui la componente psicologica, umana ed emotiva hanno un ruolo che non potrà mai essere rimpiazzato dagli algoritmi.