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Si tratta di una serie di processi fisico-nucleari attraverso i quali alcuni nuclei atomici instabili o radioattivi (radionuclidi) decadono (trasmutano) in un certo lasso di tempo detto tempo di decadimento, in nuclei di energia inferiore raggiungendo uno stato di maggiore stabilità con emissione di radiazioni ionizzanti in accordo ai principi di conservazione della massa/energia e della quantità di moto. Il processo continua più o meno velocemente nel tempo fintantoché gli elementi via via prodotti, eventualmente a loro volta radioattivi, non raggiungono una condizione di stabilità attraverso la cosiddetta catena di decadimento. Il fenomeno è noto anche come “decadimento radioattivo”.
Gli effetti sono immediati. Tutto avviene in un decimo di trimilionesimo di secondo: in questo momento istantaneo protoni, neutroni, elettroni, raggi gamma e raggi X prodotti dal decadimento del nucleo entrano in contatto con un qualsiasi atomo dei tessuti del corpo umano “strappano” a quell’atomo un elettrone: quella che era una situazione normale diventa così una condizione di forte instabilità. Nell’istante successivo atomo ed elettrone, ormai separati, possono reagire con altri atomi e dar vita a nuove molecole. Si formano i radicali liberi, molecole che hanno la caratteristica di reagire molto facilmente al contatto con altre molecole, i quali danno vita a ulteriori sostanze prima inesistenti. La riproduzione ed il normale funzionamento delle cellule possono essere compromesse per poco tempo o per molti anni, in modo rapido o lento a seconda della quantità di tessuto che è stato colpito e dalla natura della radiazione. Se il soggetto è stato contaminato da piccole dosi gli effetti sono minimi e l’organismo è in grado di “riparasi” da solo. Ma se la dose è alta e la zona colpita è estesa, le cellule non riescono a rimediare all’invasione di radicali tossici.
Il primo a correre rischi è proprio il DNA: le particelle più attive, come protoni e neutroni, possono ledere il processo di riproduzione che, da quel momento in poi, si svolge in maniera anomala: ne consegue la formazione di tumori a distanza di tempo in persone che sono state colpite da forti radiazioni. Comincia così una lunga e dolorosa agonia: nel midollo osseo vengono alterate le cellule che producono globuli bianchi, rossi e piastrine. Insorgono perciò anemie, infezioni ed emorragie. Se la dose a cui è stato sottoposto il soggetto è molto alta può rischiare di contrarre la leucemia. L’apparato riproduttivo viene compromesso: la produzione di spermatozoi diminuisce notevolmente o viene interrotta del tutto. Possono aumentare i tumori alle ovaie. L’apparato digerente è devastato. Insorgono: vomito, nausea, diarrea, anoressia, ulcere intestinali. Aumenta il rischio di cancro allo stomaco, al colon e all’esofago. La tiroide perde la sua regolarità: diventa soggetta agli adenomi (tumori benigni) e il suo funzionamento è piuttosto scarso. Anche gli occhi corrono seri rischi: dopo alcuni mesi si possono formare aree opache nel cristallino che comprometto seriamente la vista. Ovviamente le donne in gravidanza corrono rischi per due: il feto sottoposto a radiazioni, nelle prime settimane, può sviluppare un cranio più piccolo della norma, ritardo mentale e riduzione dell’altezza dopo la nascita.
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Nel 1999 si verificò un disastro nucleare in Giappone, quello di Tokaimura, prima di Fukushima. Il bilancio fu di due vittime, una delle quali morì dopo circa 3 mesi di atroci sofferenze: si tratta di un operaio trentacinquenne, Hiroshi Ouchi. Si è trattato dal più tragico impatto di radioattività sull’uomo mai verificato prima.
Il disastro fu causato da una scorretta miscelatura di uranio e acido nitrico: gli operai miscelarono l’acido nitrico con 16 chili di uranio impoverito (contro i 3 chili imposti dalla legge). La reazione nucleare a catena ebbe una fortissima emissione di raggi gamma: un lampo blu, dovuto ai neutroni emessi dall’innesco della reazione nucleare, investì tre tecnici presenti sul posto: Hisashi Ouchi (35 anni), Masato Shinohara (40 anni) e Yutaka Yokokawa (54 anni). Ouchi fu il più esposto: assorbì radiazioni di 10.000-20.000 millisievert (la soglia di sicurezza non supera i 50 millisievert). Ouchi perse i sensi immediatamente, di seguito fu trasportato all’ospedale dell’Università di Tokyo dove venne rianimato e riuscì a parlare con i medici. Gli effetti delle radiazioni nucleari si manifestarono in modo evidente con un progressivo distaccamento di intere porzioni di pelle: i raggi gamma devastarono il suo corredo cromosomico portandolo così ad una situazione critica ed irreversibile. Ouchi divenne irriconoscibile, in quanto venne via anche la cute del volto. Rimase in vita grazie alle macchine per due mesi e mezzo in cui perse circa 20 litri di liquidi al giorno. Durante gli 83 giorni di agonia i medici lo sottoposero a diversi cure, che includevano trasfusioni di sangue, innesti cutanei e trapianti di cellule staminali. Tutto inutile ma fortunatamente Ouchi fu posto in coma farmacologico per evitargli sofferenze dolorosissime.
Masato Shinohara assorbì radiazioni di 6.000-10.000 millisievert e si spense il 27 aprile del 2000 dopo diversi mesi di cure intensive. Yutaka Yokokawa, il più anziano dei tre, venne esposto a un livello di 1.000-5.000 millisievert e riuscì a sopravvivere dopo una lunga degenza in ospedale. Fortunatamente all’esterno della centrale nucleare non si registrarono rilasci di sostanze radioattive importanti e soltanto 119 persone furono contaminate da basse dosi di radiazioni.