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Il pugnale di Tutankhamon proviene dallo spazio

Grazie alla tecnica della fluorescenza a raggi X, gli scienziati hanno confermato quanto scritto su un antico papiro: il ferro della lama del pugnale di Tutankhamon arriva dallo spazio, è di origine meteorica.

Pugnale di Tutankhamon

Pugnale di Tutankhamon, Credits: http://cdn.corrieredellosport.it/images/2016/05/26/201405332-25d2c60f-da49-4e80-bed0-dc2b3c16d6a7.jpg

Quanto scritto su un papiro dagli antichi egizi, «un ferro piovuto dal cielo», è stato recentemente confermato da una ricerca italo-egiziana consolidata dopo il ritrovamento di un antico cratere causato dall’impatto con un meteorite. Grazie alla tecnica della fluorescenza a raggi X, gli scienziati hanno confermato quanto scritto su quell’antico papiro: il ferro della lama del pugnale di Tutankhamon arriva dallo spazio, è di origine meteorica.

«Gli oggetti egizi di ferro sono pochissimi, perchè l’antica civiltà egizia non aveva sviluppato la metallurgia del ferro e non c’erano cave. Così, era considerato più prezioso dell’oro», spiega Francesco Porcelli, professore di Fisica al Politecnico di Torino. Porcelli è stato per otto anni, fino al 2014, addetto scientifico all’ambasciata italiana al Cairo e ha riunificato un progetto di studio portato avanti dagli esperti sui meteoriti dell’Università di Pisa, del Politecnico di Milano e la ditta XGLab, insieme ancora al Politecnico di Torino, al Cnr, al Museo del Cairo e all’Università di Fayyum. L’iniziativa è stata finanziata dal Ministero degli Esteri italiano e dal Ministero della Ricerca Scientifica Egiziano. La lama del pugnale si presenta perfettamenteintatta e per nulla arrugginita. lunga circa 35 centimetri. Ritenuto molto prezioso, era stato infilato tra le bende del faraone bambino in vista del suo ingresso nel regno dell’aldilà.

I due pugnali ritrovati nel sarcofago di Tutankhamon. Il primo (in alto) è completamene di oro. Il secondo (in basso) è quello di origine meteorica.
I due pugnali ritrovati nel sarcofago di Tutankhamon. Il primo (in alto) è completamene di oro. Il secondo (in basso) è quello di origine meteorica.

Il cratere in questione è il Kamil Crater scoperto nel 2008 da Vincenzo De Michele, curatore del Museo Civico di Storia Naturale di Milano. “Stavo analizzando in maniera dettagliata la zona su Google Earth, alla ricerca di villaggi neolitici, quando ha notato questa formazione del tutto simile al cratere prodotto da una bomba di grande potenza. Poteva trattarsi di un bombardamento o dell’esplosione di un missile, visto che è una zona calda dal punto di vista politico”, racconta Di Martino. “Abbiamo deciso di andare a guardare con i nostri occhi. Una volta sul posto è stato subito evidente che si trattava un cratere da impatto. La bomba era arrivata dallo spazio” – ha detto De Michele in un’intervista rilasciata all’INAF. Il cratere venne confermato nel 2010 con la pubblicazione sulla nota rivista Science. Si tratta di un piccolo «cratere lunare», molto raro sul nostro pianeta dal momento che l’erosione cancella i segni degli impatti dei meteoriti. Alla spedizione parteciparono gli studiosi di Pisa e dell’osservatorio astronomico di Pino Torinese. «Quando fu scoperto il cratere, parlammo del mai risolto interrogativo sul pugnale sulla mummia del giovane faraone della diciottesima dinastia, e decidemmo di fare le analisi, superando un po’ di riluttanza delle autorità egiziane, che giustamente custodiscono gelosamente i reperti», ha spiegato Porcelli.

Il Kamil Crater scoperto nel 2008 da Vincenzo De Martino. Fonte: http://www.media.inaf.it/2010/07/22/scoperto-cratere-da-impatto-in-egitto/
Il Kamil Crater scoperto nel 2008 da Vincenzo De Michele.
Fonte: http://www.media.inaf.it/2010/07/22/scoperto-cratere-da-impatto-in-egitto/

Come si è giunti alla conclusione che il metallo sia di provenienza spaziale? Grazie alla sua composizione: il ferro contiene nichel al 10% e cobalto allo 0,6, le concentrazioni tipiche dei meteoriti. Pensare che possa essere il frutto di una lega, in queste concentrazioni, è impossibile, considerando anche il fatto che, come detto prima, la civiltà egizia maneggiava raramente il ferro. L’indagine svolta sul reperto grazie alla fluorescenza a raggi X non è stata invasiva, i dati sono stati poi analizzati in Italia.