Aviatore, astronauta, primo uomo sulla Luna, l’autore della frase più celebre della storia, una frase forse preparata a tavolino, spesso contestata per un articolo (“a” man) aggiunto e poi omesso sul suolo lunare. Ma Neil Armstrong è stato molto di più di tutto questo.
Nato a Wapakoneta, in Ohio, il 5 agosto 1930 da Stephen Koenig Armstrong e Viola Louise Engel, il primo uomo sulla Luna ha ben poco di americano: le sue origine infatti sono tedesche e scozzesi. Il padre, revisore dei conti per il governo dello Stato dell’Ohio, si trasferì diverse volte durante l’adolescenza di Neil, primogenito di tre fratelli; gli altri, più giovani, si chiamano June e Dean. La sua passione per il volo cominciò a manifestarsi già durante i primi anni di vita: a due anni il padre lo portò con sé alla National Air Races di Cleveland mentre il suo primo volo risale all’età di 6 anni, a bordo di un Ford Trimotor, sopra i cieli della città di Warren.
Ritrasferitosi a Wapakoneta nel 1944, Armstrong frequentò la Blume High School dove prese le prime lezioni di volo nell’aeroporto della contea: ottenne il suo primo brevetto di volo alla giovane età di 15 anni, prima ancora di avere l’età legale per la patente di guida. DA ragazzo, Neil fu uno scout, proprio come il compagno di viaggio Buzz Aldrin: durante il volo verso la decise di salutare gli scout che in quello stesso periodo stavano partecipando al Jamboree, il tipico raduno scout:
«Vorrei salutare tutti i miei colleghi Scout e Capi Scout al Farragut State Park in Idaho dove si sta svolgendo il Jamboree Nazionale questa settimana; e Apollo 11 vuole mandar loro i suoi migliori auguri.» – disse via radio.
«Grazie, Apollo 11. Sono sicuro che, se non lo hanno sentito, lo apprenderanno dai notiziari. Sicuramente lo apprezzeranno» – rispose dal Centro Controllo Missione di Houston.
L’esperienza tra gli scout segnò particolarmente l’adolescenza di Neil, tanto che, fra i pochi oggetti personali portati sulla Luna, scelse di portare con sé un distintivo scout.
Nel 1947 il giovane Neil iniziò gli studi in ingegneria aeronautica presso la Purdue University: fu il secondo membro della sua famiglia a frequentare un college e prese parte a due confraternite, la Phi Delta Theta e la Kappa Kappa Psi. Era stato ammesso anche al Massachusetts Institute of Technology ma l’unico ingegnere che Neil conosceva lo aveva dissuaso dal frequentarlo. Armstrong dunque pagò la retta universitaria partecipando al Piano Halloway: un programma che prevedeva due di studio, 3 anni di servizio militare e il conseguimento della laurea nei due anni seguenti.
Ottenne voti nella media, con un rendimento scolastico altalenante durante gli otto semestri di studio: i risultati migliori però gli raggiunse solo nei primi 4 semestri successivi al ritorno dalla Guerra di Corea. Preferiamo tralasciare la sua carriera militare, poco interessante per chi sta leggendo questo articolo in attesa di leggere del “grande passo”. Nel 1955 conseguì la laurea di primo livello nel corso di Ingegneria Aeronautica, e nel 1970 gli venne riconosciuto dalla University of Southern California un Master of Science in Ingegneria Aerospaziale. Dopo la laurea alla Purdue University, Armstrong decise di diventare un pilota di velivoli sperimentali, facendo domanda presso la National Commitee for Aeronautics High-Speed Flight Station alla Edwards Air Force Base in California. Poiché in quel momento non vi erano posizioni aperte disponibili fu trasferito al Glenn Research Center di Cleveland, dove iniziò a lavorare nel marzo del 1955 ma nel luglio dello stesso anno fece ritorno alla Edwards Air Force Base per il suo nuovo lavoro.
Il giovane Armstrong venne coinvolto in una serie di incidenti che successivamente sarebbero entrati a far parte del folclore della base Edwards e che saranno ricordati nelle memorie di alcuni suoi colleghi: secondo Milt Thompson, Neil è stato il più abile pilota dei primi X-15; mentre per Bill Dana, Neil “aveva una mente che assorbiva le cose come una spugna”. Nel 1958 fu inserito nel programma Man In Space Soonest della U.S. Air Force con il quale gli statunitensi si prefiggevano di sconfiggere i sovietici nella corsa allo spazio.
Un piccolo imbroglio..
In occasione del Programma Apollo, Armstrong presentò la propria candidatura il 1º giugno 1962, con i termini per la presentazione scaduti una settimana prima, ma Dick Day, un suo camerata alla base Edwards, impiegato al Manned Spacecraft Center, vedendo l’arrivo tardivo della domanda la inserì insieme alle altre prima che qualcuno se ne accorgesse.
Il 13 settembre 1962, Donald Kent Slayton chiamò Armstrong chiedendogli se fosse interessato ad unirsi al gruppo di astronauti della NASA che i giornalisti avevano ribattezzato New Nine: la risposta fu positiva. I giornali davano da tempo Armstrong già selezionato come il primo astronauta civile ma questo non avvenne mai poiché i sovietici anticiparono l’impresa il 16 giugno 1963 con la Vostok 6, inviando in orbita Valentina Tereškova, una operaia tessile e paracadutista amatoriale.
Per la missione Gemini 8, Armstrong assunse il ruolo di comandante mentre a David Scott toccò fare il pilota. La missione, lanciata il 16 marzo 1966, fu la più complessa operazione in orbita mai effettuata prima di allora: un rendezvous e aggancio con il veicolo senza equipaggio Agena Target Vehicle. Erano previste ben 75 ore di volo e 55 orbite. Dopo il lancio dell’Agena alle 10 del mattino (ora locale), il Titan II con a bordo Armstrong e Scott partì alle 11:41, portandoli in orbita. Le operazioni di rendezvous e aggancio furono completate con successo – stabilendo un primato nell’esplorazione spaziale – in 6,5 ore. Di routine fu invece la successiva missione sulla Gemini 11.
Dopo il ruolo nell’equipaggio di riserva dell’Apollo 8, Slayton offrì ad Armstrong il comando dell’Apollo 11 il 23 dicembre del 1968, mentre l’Apollo 8 orbitava intorno alla Luna. Nel marzo del 1969, in una riunione tra Slayton, George Low, Robert R. Gilruth e Christopher C. Craft, divenne chiaro che il primo uomo a posare il piede sulla Luna sarebbe stato proprio Armstrong, favorito nella scelta anche dal proprio carattere che non l’avrebbe portato ad insuperbirsi per l’esperienza. Slayton dichiarò: «solo per una questione di protocollo, penso che il primo a sbarcare debba essere il comandante… Bob Gilruth ha approvato la mia decisione». Il resto è storia.
One Small Step.. 20 luglio 1969..
La nota frase che tutti conosciamo è al centro di un lungo e decennale dibattito. Neil Armstrong sostenne sempre, durante la sua vita, di aver inventato una delle frasi più epiche di tutti i tempi appena messo piede sulla Luna, ma in una serie di interviste rilasciate dal fratello Dean alla BBC, ripubblicate poi dal quotidiano The Telegraph, è emerso che l’astronauta statunitense aveva pensato a cosa dire in quell’occasione speciale molto prima di partire per la missione: prima del lancio infatti, Neil, insieme al resto dell’equipaggio dell’Apollo 11, si trovava a Cape Canaveral, e trascorse una sera in compagnia del fratello per giocare una partita a Risiko. Durante la partita Neil passò a Dean un biglietto contenente la frase “One small step for a man, one giant leap for mankind”.
«Cosa ne pensi?» – chiese Neil.
«Perfetta» – rispose Dean.
Ma su quel foglietto c’era qualcosa di più: l’articolo “a” di “a man”. Armstrong giurò di averlo inserito, quando pronunciò la storica frase. L’astronauta avrebbe insomma detto “A small step for a man (riferendosi a se stesso) a giant leap for mankind”. I milioni di spettatori sostengono che l’articolo “a” non ci fosse e che dunque quel “man” indefinito si riferisse così all’intera umanità.
Nel filmato che segue, Armstrong descrive la superficie lunare:
Notevole fu l’opinione di Oriana Fallaci (leggi l’intervista qui) che lo descrisse in questo modo:
Io, quando lo conobbi cinque anni fa, me ne sentii respinta e molta gente m’ha detto d’aver provato la medesima cosa. Anche a causa della sua timidezza che è enorme e che egli combatte con l’arroganza. Io, che l’ho visto più volte in questi anni, non sono mai riuscita a stabilire con lui un contatto che assomigliasse a un contatto umano, a farlo mai indulgere a un attimo di cordialità, di curiosità, di calore, ammenochè non pronunciassi le parole Mercury, Gemini, Apollo, LM.
Un carattere sprezzante, acido, arrogante, forse stanco di sentirsi considerato come parte di un grande complotto, come un oggetto usato dai governi o peggio ancora di non essere all’altezza di esploratori come Marco Polo e Cristoforo Colombo. Curiosa fu la sua risposta alla provocazione di un certo Bart Sibrel, regista ed esponente della teoria del complotto, che chiese ai due astronauti di giurare sulla bibbia di aver camminato sulla Luna. Sibrel, sempre smentito dalla comunità scientifica anche a causa di numerosi filmati falsi, ricevette da Armstrong una simpatica battuta in merito: “Signor Sibrel, quella Bibbia probabilmente è falsa!”
Meno simpatica fu la risposta di Buzz Aldrin, dopo che Sibrel lo definì “ladro, codardo e bugiardo”, minuto 00:52..