Lo straordinario caso di Leonid Ivanovič Rogozov
Unico medico a bordo, ammalato di appendicite. Ha due alternative: operarsi o morire. Rogozov opterà per la prima opzione, operandosi da solo. Un atto di coraggio che gli concederà altri quaranta anni di vita oltre che dar luogo al più straordinario caso chirurgico della storia dell’uomo.
La Ob era una nave russa che prese parte alla Sesta Spedizione Antartica Sovietica: ancora una volta lo scopo era istituire una base sovietica, in questo caso sulla costa antartica Astrid Princess. La nave giunse a destinazione nel freddo dicembre del 1960. L’equipaggio disponeva di un medico eccezionale: il giovane Leonid, un ragazzo di appena 26 anni. Qualche mese dopo però, il 29 aprile del 1961, il giovane dottore avvertì i sintomi dell’appendicectomia. Unico medico di bordo, Leonid aveva solo due alternative: operarsi o morire. Rogozov opterà per la prima opzione, operandosi da solo. Un atto di coraggio che gli concederà altri quaranta anni di vita oltre che dar luogo al più straordinario caso chirurgico della storia dell’uomo.
Leonid Ivanovič Rogozov nacque il 14 marzo 1934 a Oblast’ di Čita, un remoto villaggio nella Siberia orientale. La Seconda Guerra Mondiale lo rese orfano di padre nel 1943 alla tenera età di 9 anni. Ma Rogozov non si demoralizzò e nel 1953 concluse gli studi superiori a Minusinsk nel Territorio di Krasnojarsk. Il coraggio si mostrerà essere una sua grande caratteristica sin dalla tenerà eta. In quello stesso anno, terminati gli studi, venne ammesso all’Accademia Statale di Medicina Pediatrica di San Pietroburgo. Divenuto medico nel 1959, cominciò un tirocinio per specializzarsi in chirurgia che interruppe nel settembre 1960, all’età di 26 anni, per partecipare alla Sesta Spedizione Antartica Sovietica.
Dopo circa tre mesi, la Ob sbarcò sulla costa antartica Astrid Princess nel dicembre 1960. Il gruppo, composto da tredici ricercatori, fu confinato in un ambiente selvaggio e inospitale, completamente isolato dal resto del mondo, lavorò sodo e nel febbraio 1961 istituì la nuova base: Novolazarevskaya. Appena in tempo visto che la nave non sarebbe tornata prima del dicembre successivo e che il temibile inverno antartico era ormai alle porte: tempeste di neve, gelo estremo e oscurità perenne.
In aprile 1961, Rogozov cominciò a sentirsi male: accusava nausea, malessere e debolezza. Ai sintomi si aggiunse un acuto dolore addominale che si espandeva al quadrante destro inferiore; anche la febbre non tardò ad arrivare, con una temperatura corporea di 37.5 °C.
«Sembra che io abbia l’appendicite. Continuo a mostrarmi tranquillo, perfino a sorridere. Perché spaventare i miei amici? Chi potrebbe essermi di aiuto?» – scrisse così nel suo diario di bordo, in data 29 aprile 1961.
Il giovane chirurgo iniziò allora un trattamento medico con antibiotici e applicazioni fredde locali, che tuttavia si rivelarono presto inutili: le sue condizioni peggiorarono, con nausea e vomito più frequenti e la febbre, che saliva con un vertiginoso aumento della temperatura. Rogozov capì allora che l’unica soluzione per salvarsi la vita, evitando una perforazione imminente, era quella di operarsi da solo.
Leonid Ivanovič Rogozov durante l’intervento chirurgico. Si trattò del più straordinario esempio di “self-surgery”. Credits: ichef.bbci.co.uk
«Sto peggiorando. L’ho detto ai compagni. Adesso loro stanno iniziando a togliere tutto quello che non serve dalla mia stanza» – scrisse Rogozov sul suo diario la sera del 30 aprile 1961, alle 20,30.
La preparazione
Il giovane dottore fornì tutte le istruzioni necessarie ai tre membri dell’equipaggio scelti per aiutarlo nell’impresa: il meteorologo Alexandr Artemev, il meccanico Zinovy Teplinsky e il direttore della stazione Vladislav Gerbovich. I tre si lavarono per l’intervento e indossarono camici sterilizzati in autoclave e guanti: Artemev assunse il ruolo di ferrista, Teplinsky si occupò di regolare la direzione della lampada e orientare lo specchio per consentire a Rogozov di guardare meglio cosa stesse facendo, Gerbovich invece era in panchina, pronto a sostituire chi degli altri due si fosse sentito male o magari fosse svenuto. Rogozov preparò anche alcune siringhe con dei farmaci che gli avrebbero iniettato nel caso in cui avesse perso conoscenza.
L’intervento
Sono le 02:00 del mattino seguente, il 1 maggio 1961, inizia l’intervento. Il dottore fece un’ulteriore scelta coraggiosa: quella di operare senza guanti. Scelse una posizione semiseduta, leggermente inclinato verso sinistra per guardare meglio la zona da operare ma con la consapevolezza che, per orientarsi avrebbe fatto ricorso al tatto. Per prima cosa la parete addominale venne infiltrata in più punti con 20 millilitri di procaina allo 0,5%. 15 minuti dopo il dottore iniziò ad incidere con un taglio di 10-12 centimetri: in quel momento Rogozov si rese conto della scarsa visibilità del campo operatorio, per via della profondità. I 45 minuti seguenti furono dolorosi: mentre avanzava con le mani all’interno del suo stesso addome, il dottore-paziente iniziò a percepire un senso di vertigine e debolezza. Dovrà fermarsi più volte, in seguito anche alle ingenti perdite di sangue.
Le difficoltà e il lieto fine
Nel cammino per raggiungere l’appendice, Rogozov lesionò il cieco e dovette suturarlo. Fu costretto a fermarsi ogni 4-5 minuti con intervalli di 20-25 secondi per via della debolezza. Raggiunta l’appendice, il cuore del dottore rallentò e il giovane si sentì mancare. Per fortuna riuscì ugualmente nell’impresa asportando l’appendice.
«Con orrore mi rendo conto che l’appendice ha una macchia scura alla base. Questo vuol dire che anche un solo altro giorno e si sarebbe rotta e…» – terminerà il racconto con un omissis, vista l’evidenza del messaggio.
Il recupero
L’intervento terminò alle 4 del mattino. Una straordinaria operazione riuscita grazie anche al fegato degli assistenti, che più volte sono stati sul punto di svenire senza che ciò accadesse. Sfinito il dottore si lasciò abbandonare ad un sonno profondo grazie all’aiuto di un sonnifero. La mattina del 2 maggio 1961 la febbre era ancora alta, a 38,1 °C. Proseguì la terapia antibiotica e dopo quattro giorni il suo intestino riprese a funzionare; il quinto giorno passò anche la febbre.
«Non mi sono concesso di pensare a nient’altro che al compito che avevo davanti. Era necessario armarsi di coraggio e stringere i denti» – scrisse sul suo diario l’8 maggio 1961.
Due settimane dopo l’intervento, Rogozov tolse i punti di sutura e riprese la sua normale attività.
Il 29 maggio 1962, l’equipaggio tornò a Leningrado, e Rogozov poté riprendere il suo lavoro nel Dipartimento di Chirurgia Generale del First Leningrad Medical Institute. Morirà il 21 settembre 2000, dopo lo straordinario intervento di appendicectomia su se stesso che gli concesse altri quarant’anni di vita, un regalo del suo grandioso coraggio. La storia è stata raccontata dal figlio Vladislav Rogozov, anestesista nel Department of Anaesthetics dello Sheffield Teaching Hospital (Gran Bretagna), sul numero di dicembre 2010 del British Medical Journal.
Il precendente
Un caso simile è quello del dottor Evan O’Neill Kane, usato negli anni dai contestatori che volevano espropriare a Rogozov il “primato” e l’unicità del caso. Nel 1921 infatti, all’età di 60 anni, Kane tentò di operarsi da solo di appendicite ma fu solo capace di iniziare l’intervento. Persi i sensi, l’operazione fu conclusa dai suoi assistenti, cosa che non avvenne nel caso Rogozov.
Kane, tuttavia, fu il primo medico ad operarsi da solo con successo, in quanto nel 1931, all’età di 70 anni, si operò di ernia inguinale, causata da un incidente a cavallo sei anni prima.