Negli ultimi mesi alcuni ricercatori del Dipartimento di Energia (DENERG) del Politecnico di Torino, hanno scoperto un modo per rendere potabile l’ acqua salata e come questo potrebbe contribuire a risolvere problemi sostanziali per molti Paesi nei quali la disponibilità per uso alimentare è ancora limitata.
Noi di Close-up Engineering siamo andati ad intervistare Matteo Fasano, uno dei ricercatori che ha partecipato al progetto.
Dopo la laurea magistrale in Ingegneria Meccanica, ha conseguito il Dottorato di ricerca in Ingegneria Energetica, con un lavoro sui processi di trasporto di massa e calore alla nanoscala, durante il quale ha lavorato per un anno al centro di ricerca Houston Methodist e un mese al MIT dove si è dedicato alla ricerca di cui sopra.
Alcuni ricercatori del MIT stavano sintetizzando delle membrane con lo scopo di ottimizzare il processo di osmosi inversa per la dissalazione dell’ acqua; i dati teorici però non trovavano riscontro nella pratica.
Su tale punto ha lavorato il team del DENERG del PoliTo:
“Il nostro risultato scientifico – spiega Matteo Fasano – è aver capito perché le nuove membrane da utilizzare per l’osmosi inversa, che dovrebbero fungere da “setaccio” molecolare, nella realtà danno risultati diversi da quelli teorici. Il Prof. Pietro Asinari, il Prof. Eliodoro Chiavazzo, il dottorando Alessio Bevilacqua ed io abbiamo cercato di comprendere perché la permeabilità misurata sperimentalmente fosse inferiore rispetto a quella teorica. Il lavoro riguardava la dinamica molecolare, lo studio delle proprietà dell’ acqua alla nanoscala; avevamo già lavorato su tali proprietà per applicazioni nella nanomedicina.”
Le membrane sono realizzate in zeolite, un materiale nanoporoso, con pori dalle dimensioni tali per cui, quando si applica una pressione, la molecola d’ acqua riesce a passare, mentre gli ioni in essa disciolti restano intrappolati. Il vantaggio delle zeoliti, soprattutto per quelle idrofobiche, è che nel momento in cui l’acqua entra nei pori assume un coefficiente di diffusione molto elevato. Rispetto ai materiali plastici ad oggi utilizzati per l’osmosi inversa, le zeoliti hanno quindi la potenzialità di avere coefficiente di permeabilità di ordini di grandezza maggiori. A parità di pressione, e quindi di potenza meccanica da applicare, si riesce a dissalare molta più acqua in meno tempo.
“La ricerca sulla depurazione dell’ acqua per osmosi inversa è stata apprezzata ed aveva un ottimo partner – replica Fasano – ma, a livello ingegneristico, ci occupiamo anche di altro. Nel nostro gruppo lavoriamo su approcci sostenibili per la produzione di acqua potabile, per l’accumulo del calore da fonte rinnovabile e per lo scambio di calore.”
Impianti di grandi dimensioni ce ne sono tanti, soprattutto in Israele e Paesi del Golfo, ma hanno bisogno di centrali elettriche dedicate di grandi dimensioni che oltretutto non utilizzano fonti rinnovabili.
L’osmosi inversa è il metodo maggiormente impiegato in campo industriale per questo tipo di applicazioni. Per migliorare l’efficienza energetica di tali impianti si può quindi lavorare sui materiali delle membrane, ecco perché al MIT hanno cominciato a studiare materiali alternativi. Per realizzarli sono necessarie tecniche innovative e soprattutto bisogna ricorrere alle nanotecnologie; è richiesta quindi una manipolazione della materia molto più precisa rispetto alle tecniche standard con cui si producono le membrane attuali.
Le premesse per migliorare ulteriormente l’efficienza dell’osmosi inversa erano buone ma, nonostante nella teoria la zeolite presenti diffusione e permeabilità elevate, nella pratica non si riesce ad ottenerle perché le tecniche di realizzazione attuali comportano otturazione di quasi tutti i pori superficiali.
“Grazie a simulazioni di dinamica molecolare si è potuto vedere che i pori in superficie sono chiusi.” Questo è stato il contributo di understanding del DENERG e del team di Matteo Fasano che prosegue – “La membrana ha la caratteristica di trasmettere molto velocemente l’ acqua, una volta entrata, ma in realtà essa non riesce ad entrare perché ha pochi pori disponibili, in quanto il metodo di sintesi utilizzato fa sì che restino chiusi. Aprire anche solo pochi pori in più potrebbe aumentarne di 10 volte la permeabilità.”
Un possibile approccio è l’utilizzo di nanotecnologie, materiali innovativi, hi-tech per grandissimi impianti di dissalazione. E’ stata quindi indicata una possibile strada da seguire in quanto non ci si era ancora mai concentrati sulla superficie della membrana.
Dall’altro lato, per dare una risposta più rapida, si voleva progettare una macchina che potesse essere flessibile in funzione del tipo di acqua da trattare (diversa salinità, acqua fangosa…).
Sebbene sia un approccio leggermente low-tech, vista la formazione energetica e meccanica del team, si è pensato di sviluppare metodi di dissalazione di tipo termico (evaporazione e condensazione) utilizzabili anche in piccoli impianti facilmente trasportabili ed utilizzabili in paesi in via di sviluppo.
Il team del Politecnico ha prodotto un condensatore multistadio, avente una struttura cilindrica in teflon (un materiale idrofobico, resistente fino a 160°, con una buona resistenza meccanica ed ottime proprietà di isolamento termico) e acciaio inox, impaccato in maniera modulare, in modo da aggiungere o togliere stadi in funzione delle condizioni di funzionamento richieste.
Evaporazione in uno stadio e condensazione nel successivo. Il calore latente di condensazione diventa calore latente di evaporazione nel secondo stadio; essendo i vari stadi a pressioni diverse si riesce a “recuperare” calore. Si chiama distillazione ad effetto multiplo (MED – Multiple Effects Distiller) ed è un processo fisico già noto.
Il progetto è su piccola scala, in quanto, dopo un confronto con “Medici senza frontiere”, i ricercatori hanno compreso i problemi relativi ai sistemi con le membrane; che hanno bisogno di gruppi elettrogeni per essere alimentati.
Da queste premesse è nata l’idea di sfruttare il cascame termico dei fumi di scappamento di questi motori, recuperando dell’energia che verrebbe “sprecata”.
Un elemento che sicuramente incide positivamente sullo sviluppo futuro di questo progetto è la robustezza dei componenti. Infatti le parti in movimento sono poche e si è cercato di sfruttare elettronica di base, in quanto, essendo una macchina pensata per il terzo mondo, è stata scelta componentistica reperibile praticamente ovunque. Inoltre non essendoci parti in usura, si può stimare una vita di 10 anni circa. L’utilizzo di questa tecnologia è previsto già tra 1-2 anni.
Non solo ricerca, non solo prototipizzazione al Politecnico di Torino, ma anche sviluppo a livello accademico. Lo scorso semestre agli studenti dei corsi di Fisica Tecnica del 4° anno di Ingegneria Meccanica e 5° di Ingegneria Energetica, è stato proposto di partecipare ad una Maker Competition. È stato dato agli studenti il tema “Dissalazione dell’acqua” fornendo un budget di €200. Sono stati scelti 4 progetti e i 4 team, da marzo ad ottobre, si sono occupati della realizzazione di questi prototipi, sfruttando anche materiali di scarto.
Di seguito il link dei prototipi vincitori del contest: http://www.politocomunica.polito.it/news/allegato/(idnews)/8237/(ord)/0
Articolo a cura di: Francesco Clemente, Nicola Lovecchio, Mariangela Quarata