Medicina

Ictus: la proteina C3a ridurrà i danni al cervello

La somministrazione della proteina C3a, attraverso gocce nasali, renderà più rapido il recupero funzionale del paziente affetto da ictus, amplificando la plasticità dei circuiti nervosi.

È quanto emerso da uno studio, condotto da un gruppo internazionale di scienziati, pubblicato sulla rivista Brain. Dopo una patologia come un ictus, il paziente può andare incontro alla perdita di una funzione come ad esempio la paresi di un arto: questo, spiegato in parole povere, è dovuto alla morte dei neuroni che controllano la funzione in questione.

Cosa succede?

Quando l’afflusso di sangue destinato ad una specifica regione del cervello si arresta, i neuroni non ricevono più ossigeno e glucosio, le due fonti primarie che consentono  di di produrre e trasmettere segnali elettrici; senza l’energia necessaria, i neuroni muoiono.

Cosa sappiamo?

Il recupero funzionale è dovuto alle capacità plastiche dei circuiti nervosi che riescono a riorganizzano formando nuovi contatti sinaptici tra i neuroni sopravvissuti. Diversi studi hanno dimostrato che la porzione più primitiva del sistema immunitario, costituita dalle proteine complementari che aiutano gli anticorpi a respingere le minacce infettive, partecipa anche ai processi di plasticità sinaptica sopracitati.

La proteina C3a

Tra queste proteine  complementari gioca un ruolo primario il frammento proteico C3a, composto da 77 aminoacidi: la C3a si attiva dopo l’ictus, protegge i neuroni sopravvissuti e stimola i fattori di crescita neuronale come l’NGF (quello scoperto da Rita Levi Montalcini).

La struttura di una proteina complementare C3. Fotografia di Emw – Own work, CC BY-SA 3.0, commons.wikimedia.org

La proteina C3a stimola la formazione di nuove sinapsi dopo un ictus

Marcela Pekna, credits: neurophys.gu.se

“Maggiore è il numero delle nuove sinapsi che si creano tra i neuroni sopravvissuti all’ictus maggiore è la probabilità che questi neuroni possano svolgere le funzioni prima svolte dai neuroni perduti” – spiega Marcela Pekna, Dottoressa dell’Istitute of Neuroscience and Physiology della Sahlgrenska Academy di Göteborg, e coordinatrice del gruppo di ricerca – “In base a studi precedenti e a dati preliminari in nostro possesso abbiamo concentrato la nostra attenzione sulla proteina C3a del sistema del complemento e l’abbiamo somministrata a metà di un gruppo di 28 topi in cui abbiamo indotto un ictus, mentre all’altra metà abbiamo somministrato un placebo, ovvero una molecola inattiva”.

La scelta delle gocce nasali

La somministrazione per via endovenosa o orale non è efficace nel caso della proteina C3a perché, a causa dei diversi processi di assimilazione, non verrebbe attivata.

La proteina C3a causa un aumento della densità sinaptica nella corteccia controlesionale. Credits: Brain Magazine

Nella foto: (A) Disegno dello studio. (B) area del cervello interessata. (C e D) volume dell’area interessata, 21 giorni dopo ictus. (E) Schema indicante le regioni della corteccia prese in esame. (F) immagini confocale 21 giorni dopo l’ictus. (G e H) Valori e densità di sinapsina I +.

“Abbiamo potuto osservare che i 14 topi, ai quali era stata somministrata la proteina C3a, hanno recuperato molto più rapidamente e in misura maggiore dei topi che avevano ricevuto il placebo. In linea di principio, tutti i pazienti colpiti da ictus potrebbero ricevere la terapia per via nasale anche una settimana dopo l’evento, a patto che i risultati ottenuti nel topo si confermino nell’essere umano e possano essere abbassati i costi di produzione del C3a, oggi troppo elevati” – conclude la Pekna.

Il team di ricerca è composto da:

Anna Stokowska - Center for Brain Repair and Rehabilitation, Department of Clinical Neuroscience, Institute of Neuroscience and Physiology, Sahlgrenska Academy at the University of Gothenburg, Gothenburg, Sweden. Credits: static.goldenline.plmore
Alison Atkins - Center for Brain Repair and Rehabilitation, Department of Clinical Neuroscience, Institute of Neuroscience and Physiology, Sahlgrenska Academy at the University of Gothenburg, Gothenburg, Sweden. Credits: i1.rgstatic.netmore
Javier Morán - Center for Brain Repair and Rehabilitation, Department of Clinical Neuroscience, Institute of Neuroscience and Physiology, Sahlgrenska Academy at the University of Gothenburg, Gothenburg, Sweden. Credits: media.licdn.commore
Tulen Pekny - Center for Brain Repair and Rehabilitation, Department of Clinical Neuroscience, Institute of Neuroscience and Physiology, Sahlgrenska Academy at the University of Gothenburg, Gothenburg, Sweden. Credits: 3.bp.blogspot.commore
Linda Bulmer - (foto non disponibile) - Center for Brain Repair and Rehabilitation, Department of Clinical Neuroscience, Institute of Neuroscience and Physiology, Sahlgrenska Academy at the University of Gothenburg, Gothenburg, Sweden. Credits: image.freepik.commore
Michaela C. Pascoe - Center for Brain Repair and Rehabilitation, Department of Clinical Neuroscience, Institute of Neuroscience and Physiology, Sahlgrenska Academy at the University of Gothenburg, Gothenburg, Sweden. Credits: corner.acu.edu.aumore
Scott R. Barnum - Department of Microbiology, University of Alabama, Birmingham, Alabama, USA. Credits: apps.medicine.uab.edu
Rick A. Wetsel - Research Center for Immunology and Autoimmune Diseases, Institute of Molecular Medicine for the Prevention of Human Diseases, University of Texas-Houston, Houston, Texas, USA. Credits: i1.rgstatic.netmore
Jonas A. Nilsson - Department of Surgery, Institute of Clinical Sciences, Sahlgrenska Academy at the University of Gothenburg, Gothenburg, Sweden. Credits: molbiol.umu.se
Mike Dragunow - Department of Pharmacology and Centre for Brain Research, Faculty of Medical and Health Sciences, The University of Auckland, Auckland, New Zealand. Credits: odt.co.nz
Marcela Pekna - Center for Brain Repair and Rehabilitation, Department of Clinical Neuroscience, Institute of Neuroscience and Physiology, Sahlgrenska Academy at the University of Gothenburg, Gothenburg, Sweden. Florey Institute of Neuroscience and Mental Health, Parkville, Victoria, Australia. Hunter Medical Research Institute, University of Newcastle, New South Wales, Australia. Credits: neurophys.gu.semore

Lo studio è disponibile in pdf.

Published by
Antonio Piazzolla