Chissà se l’equipaggio dell’Apollo 1 conosceva quel famoso detto che tanto circola oggi sul web: “Se desideri qualcosa che non hai mai avuto, devi essere pronto a fare qualcosa che non hai mai fatto”.
Di sicuro Virgil Grissom, Edward White e Roger Chaffee avevano tenuto in conto della possibilità (molto alta) di perdere la vita durante quella missione. E così è stato. 27 gennaio 1967, un venerdì pomeriggio, una navicella sulla sommità di un razzo Saturno 1-B; a 68 metri d’altezza, seduti sui propri sedili, i tre astronauti, i primi del programma Apollo. Non si trattava del lancio, non erano ancora in partenza e il razzo non era neanche rifornito di combustibile; quella che doveva essere una prova generale del lancio si è trasformata in una tragedia. Quanto era evitabile? Non lo si può dire con esattezza dal momento che nessuno considerava “rischiosa” un’esercitazione, al punto che non erano presenti né le squadre di emergenza né i vigili del fuoco e nemmeno i medici. La NASA imparerà molto da questo errore imperdonabile.
Da sinistra a destra: Virgil Grissom, Edward White e Roger Chaffee. Crediti: NASA
Qualcosa che non quadra
L’esercitazione comincia con un ritardo di due ore sulla tabella di marcia per via di alcune difficoltà del centro di controllo. Una volta a bordo, Grissom avvertì e segnalò a Houston uno “strano odore”, forse proveniente dall’impianto dell’ossigeno: il centro di controllo però non riscontrò nulla di particolare.
Nervosismo
Si verificarono subito alcuni problemi di comunicazione: il segnale risultava piuttosto disturbato, i cavi erano stati mal-collegati e alcuni di essi venivano percossi da lievi scariche elettriche.
«Come potete pensare di mandare un uomo sulla Luna se non riuscite neppure a parlarci da Terra?» – disse irritato Grissom via radio. Alle 17:40 locali, un altro problema tecnico porto ad un’interruzione del conto alla rovescia: il test principale pertanto venne sospeso ma gli astronauti rimasero a bordo per eseguire altre verifiche.
La tragedia
Alle 18:31 la temperatura all’interno della cabina cambiò di colpo: «fire!» (“fuoco”) – urlò Grissom via radio. «C‘è un incendio in cabina!» e poi ancora «c’è un incendio qui … fateci uscire … stiamo bruciando». Grida di dolore e poi silenzio. L’equipaggio non riuscì a fuggire in quanto per aprire il portellone, che poteva essere aperto solo dall’interno, sarebbe occorsi 90 secondi per depressurizzare la cabina ma l’equipaggio perse la vita in appena 15 secondi.
I soccorsi giunsero nei pressi della capsula solo 5 minuti dopo e trovarono solo i cadaveri dell’equipaggio. White venne trovato con le braccia sopra la testa, nel tentativo di aprire il boccaporto; anche Grissom aveva tentato inutilmente di aprirlo mentre Cheffee giaceva al suo posto.
L’inchiesta
La commissione d’inchiesta stabilì che l’incendio si era sviluppato a causa di un cavo elettrico difettoso che aveva fatto corto circuito. Posti nei pressi dello sportello, questi venivano irregolarmente sollecitati dall’apertura e dalla chiusura del portello e gli sfregamenti, dopo averne danneggiato il rivestimento isolante, innescarono le scintille: una rete di nylon, per inserire e bloccare oggetti, prese subito fuoco alimentando così l’incendio nella cabina.