Il materiale incandescente reagisce al contatto con la neve dando luogo ad un’esplosione freatomagmatica
che ha coinvolto alcuni civili: i lapilli volati in aria infatti hanno colpito dei turisti e una troupe della BBC.
Dieci i feriti in totale, tutti molto scossi ma fortunatamente non in gravi condizioni. L’esplosione si è verificata sul fronte della colata lavica attiva, a 2700 metri di quota, ed è stata causata dal rapido scioglimento della neve.
Il fenomeno, verificatosi a marzo 2017, è spettacolare quanto preoccupante; non una tragedia ne un rischio allarmante ma di sicuro un fattore da tenere sotto-controllo per evitare pericoli a turisti, studiosi e troupe televisive che si avventurano nei pressi del vulcano.
I commenti dell’INGV
“Violenta esplosione al contatto fra lava e neve sull’Etna circa un’ora fa. Alcuni feriti, io stesso ho ricevuto una piccola ferita in testa però sto assai bene e mi sto calando una meritata birra!” – è il commento a caldo di Boris Behncke, un ricercatore dell’INGV di Catania che, al momento dell’esplosione, si trovava con un collega per un sopralluogo sul fronte di un’esplosione precedente.
“L’esplosione freatica avvenuta, poco fa sull’Etna, si verifica quando il magma riscalda la terra provocando l’evaporazione quasi istantanea dell’acqua, con conseguente esplosione di vapore, acqua, cenere, roccia” – spiega il vulcanologo Stefano Branca dell’INGV di Catania.
“La lava è fuoriuscita a circa 3.250 metri di altezza sull’Etna, quindi è scesa fino a 2.700 metri, dove è avvenuta l’esplosione. A poca distanza c’è la funivia che si trova a 2.500 metri, i controlli diventano importanti per la sicurezza delle persone e delle strutture che si trovano sull’Etna” – aggiunge Marco Neri, vulcanologo dell’INGV di Catania.
Il precedente
Un episodio simile avvenne il 12 settembre 1979; un pullman di turisti, partito da Nicolosi, arrivò in prossimità della Bocca Nuova, un cratere tornato quieto dopo una breve eruzione, sigillato da uno strato di lava solido e poroso. Un cratere che, tuttavia, non è mai passato allo status di inattivo e di questo ne ha dato segnali nel tempo con dei sibili di gas. Alcuni ricercatori lanciarono l’allarme: la pressione del gas avrebbe potuto provocare un’esplosione. Nessuno se ne preoccupò e quel 12 settembre, mentre i turisti si dedicavano a sessioni fotografiche, ci fu un boato: una pioggia di pietre e schegge si abbatté sul gruppo dei turisti. Il tragico bilancio fu di 9 morti e 23 feriti.
Un laboratorio naturale
Perché l’Etna è così importante, fondamentale per capire e studiare il pianeta e prevenire (nei limiti del possibile) i pericoli a cui potremmo essere esposti? Semplice: è uno dei vulcani più attivi al mondo che continua a crescere su una base debole. Una realtà geologicamente interessante: i suoi magmi arrivano dall’astenosfera, quel sottile strato fluido-viscoso situato ad una profondità compresa tra 100 e 300 km; sorge in un punto cruciale, dove la placca africana si immerge sotto la placca eurasiatica; una zona in piena attività geologica, caratterizzata da un’elevata sismicità della regione. Altra situazione da tenere sotto-controllo poi è il fianco meridionale poi è soggetto a continui scoscendimenti dovuti a tremori, eruzioni e massa della stessa struttura vulcanica la quale, aumentando, grava la stabilità degli strati rocciosi disomogenei e fragili che lo rivestono. In conclusione la pericolosità in sé del sito vulcanico sta nell’apertura di bocche vulcaniche a basse quote, rappresentando un tasso di rischio per il versante sudorientale a partire da Nicolosi fino a Catania, interessando circa 600.000 persone. L’Etna pertanto può insegnarci a gestire situazioni catastrofiche e prevenirle grazie a modelli ben strutturati sulla base di quello che il vulcano può dirci e sulle indagini condotte dagli esperti.