Il Pterois volitans (noto in italiano come “pesce scorpione“ o “pesce leone“, per gli inglesi invece “lionfish!” è un pesce d’acqua salata della famiglia Scorpaenidae, gli scorfani che mangiamo sulle nostre tavole. Considerato fra le specie marine più invasive al mondo, a causa del suo veleno, è molto pericoloso per l’uomo.
Si presenta con una testa relativamente piccola, bocca grande, occhi piuttosto sporgenti, sormontati da due escrescenze presenti anche intorno al mento dell’animale. Fronte alta, dorso curvo e ventre decisamente piatto. La sua corporatura si restringe poi verso il peduncolo caudale, il quale precede la coda larga e tondeggiante. La livrea è a strisce larghe e sottili, solitamente verticali con tonalità marroni e bianche, pinne comprese. La livrea è a strisce tendenzialmente verticali marroni e bianche, alcune sottili e altre più larghe. Anche le pinne sono striate di bianco e marrone.
I primi raggi della pinna dorsale e di quella anale sono aculei veleniferi, che si ergono notevolmente dal pesce quando questo è in situazione di pericolo: questo apparato è composto in totale da 13 aculei sulla pinna dorsale e 3 in quella anale, tutti collegati a una ghiandola velenifera; quelli pettorali invece sono aculei pieni ma non velenosi.
Distinguiamo tre gradi diversi di avvelenamento da tossina di Pterois volitans:
I grado: si manifesta eritema, ecchimosi o anche cianosi della parte colpita. II grado: compaiono vesciche attorno alla puntura. III grado: producono necrosi locale e variazione della sensibilità, che possono durare anche per più giorni. Altri effetti a livello sistemico invece includono: dolore alla testa, nausea, vomito, dolori e crampi addominali, paralisi agli arti, iper o ipotensione, difficoltà respiratoria, ischemia del miocardio, edema polmonare, sincope. Anche se rari sono stati stati documentati casi di decesso. Il primo e più importante trattamento, dopo aver rimosso eventuali spine e disinfettato la ferita, è immergere quanto prima la parte colpita in acqua molto calda (circa 45°C): il calore infatti è in gradi di rompere la struttura proteica della tossina riducendo il dolore.
Diffusosi nel Mar Rosso e nell’Oceano Pacifico, dal Sud-Est asiatico fino all’Australia, dal Giappone alla Polinesia, il Lionfish abita le lagune e i fondali sassosi e di barriera fino a 150 metri di profondità: gli esemplari più giovani tendono ad allontanarsi in mare aperto dal loro luogo di nascita, alla ricerca di nuovi habitat: questo giustifica la loro grande diffusione e invasione.
La specie è stata accidentalmente introdotta negli anni ’90 nell’Oceano Atlantico, lungo le coste degli Stati Uniti: invadendo progressivamente tutto il Mar dei Caraibi; il pesceleone è commestibile e molto apprezzato in alcuni paesi: proprio per via della larga diffusione, il loro consumo è incoraggiato come contributo al controllo della specie nei Caraibi, dove essa è particolarmente invasiva. Tuttavia urge fare prudenza in quanto il suo veleno si mantiene attivo dalle 24 alle 48 ore dopo la morte del pesce, per cui la pericolosità della specie resta elevata anche su esemplari morti da diverse ore, riscontrabili sul mercato.
Nell’ultimo decennio il Lionfish si è rapidamente diffuso nel mediterraneo orientale generando preoccupazione: l’Ispra infatti lo rinvenne in Tunisia nell’ ottobre del 2016 e lanciò l’allerta sul possibile arrivo dell’esemplare nelle acque italiane. A marzo 2017, per la prima volta un team di ricercatori dell’Ispra, del CNR e dell’American University of Beirut, ha segnalato il Lionfish nelle acque italiane, all’interno della riserva naturale orientata oasi faunistica di “Vendicari”, in Sicilia.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Bioinvasion Records. I ricercatori intanto avvertono: “Considerata la potenziale invasività e pericolosità della specie, chiunque abbia catturato o avvistato un pesce scorpione è invitato a fare una foto e segnalare l’osservazione all’indirizzo: alien@isprambiente.it“. Su Facebook è stato aperto un gruppo chiamato ‘oddfish’ sul quale condividere osservazioni di specie esotiche con utenti del mare e ricercatori.