Il primo uomo a perdere la vita durante una missione spaziale
Sappiamo chi è stato il primo uomo ad andare nello spazio, Jurij Gagarin; conosciamo il nome del primo americano in orbita, John Glenn; ricordiamo le parole di chi ha compiuto il primo passo sulla Luna, Neil Armstrong, ma chi è stato il primo uomo a perdere la vita nello spazio?
Sappiamo chi è stato il primo uomo ad andare nello spazio, Jurij Gagarin; conosciamo il nome del primo americano in orbita, John Glenn; ricordiamo le parole di chi ha compiuto il primo passo sulla Luna, Neil Armstrong; ma non dobbiamo scordarci che, questi primi passi, sono stati resi possibili anche grazie al sacrificio di altri valorosi uomini. Ergo, chi è stato il primo umano a perdere la vita nello spazio? Questa è la storia di Vladimir Michajlovič Komarov, passato agli annali per essere divenuto ufficialmente il primo uomo a perdere la vita durante una missione spaziale.
Nato a Mosca il 16 marzo del 1927, Vladimir Komarov frequentò la scuola speciale di Mosca per l’aeronautica militare sovietica e proseguì i suoi studi alla scuola per piloti militari di Bataisk. Nel 1959 concluse l’accademia per ingegneri dell’aeronautica militare sovietica e l’anno successivo venne selezionato per diventare cosmonauta. Nel 1962 fu nominato sostituto di Pavlo Romanovyč Popovyč per la missione Vostok 4, ma la sua prima missione spaziale fu quella a bordo del Voschod 1, nel 1964: si trattava della prima missione spaziale con un equipaggio composto da tre cosmonauti e per la prima volta nella storia venne portato in orbita uno scienziato (i predecessori, infatti, furono tutti uomini dell’aeronautica russa e americana). La sua carriera procedeva senza intoppi e Komarov, in qualità di comandante, si era guadagnato il soprannome di Рубин (“rubino”).
Soyuz 1: una missione destinata a fallire
Il 23 aprile 1967 prese parte alla sua seconda missione nello spazio con la Sojuz 1: primissimo prototipo della capsula che, ad oggi, porta gli astronauti sulla ISS. Il lancio riuscì alla perfezione ma, dopo alcuni guasti ai sistemi della navicella, Komarov dovette avviare manualmente il procedimento di atterraggio esattamente 24 ore dopo il lancio.
La manovra stava per essere portata a termine correttamente ma, a settemila metri di quota, il paracadute di frenata della navicella spaziale che avrebbe dovuto consentire un atterraggio sicuro, non si aprì al comando. L’impatto fu violento con una velocità di 40 metri al secondo; Komarov lasciò una moglie, Valentina Jakovlevna Kiselëva, e due figli, Evgenij e Irina. FILMATO ORIGINALE DELL’IMPATTO:
Poco prima del violento impatto, l’allora premier dell’Unione Sovietica Aleksej Nikolaevič Kosygin comunicò a Komarov, via radio, che il paese era fiero della sua impresa; [1] un dipendente della NSA americana, stazionato ad Istanbul col compito di spiare l’andamento della missione, riferì ai suoi superiori che dalla navicella di Komarov non pervenne alcuna risposta.
[1] questa voce potrebbe non essere verificata.
ATTENZIONE: l’immagine seguente potrebbe urtare la sensibilità di alcuni lettori.
Komarov venne decorato per due volte con il titolo onorario di Eroe dell’Unione Sovietica e dell’Ordine di Lenin. Le sue ceneri riposano presso il muro del Cremlino: il più alto onore per un cittadino sovietico. Nel 1971 gli venne dedicato l’asteroide 1836 Komarov.
A dirla tutta Komarov è morto sulla Terra ma l’evento in questione fa riferimento, negli annali, al “primo uomo ad aver perso la vita durante una missione spaziale“: un titolo troppo lungo per i caratteri imposti dal web, senza contare che anche se la sua morte è avvenuta sulla Terra, una missione spaziale non si considera ufficialmente conclusa fino a quando gli astronauti non mettono piede sul suolo: la durata di una missione infatti viene conteggiata dal lift-off (decollo/partenza) fino alla fase di re-entry (rientro), a manovra conclusa, cioè con lo spegnimento dei motori.