Vincenzo Tiberio e la penicillina italiana
La penicillina è stata senza ombra di dubbio una delle scoperte più importanti della prima metà del ventesimo secolo per quanto riguarda il mondo della medicina. Le sue proprietà antibiotiche permisero di curare molte patologie al tempo pressoché incurabili e la sua importanza fu tale da valere il premio Nobel a tre illustri scienziati: Fleming, Florey e Chain. Un italiano però rimase nell’ombra e i suoi lavori non vennero mai presi in considerazione. Il suo nome? Vincenzo Tiberio.
Tiberio e i suoi lavori sono rimasti sugli scaffali davvero molto a lungo e ancora oggi la scoperta della penicillina viene attribuita senza ombra di dubbio a Fleming. Ma siamo sicuri che le cose stiano proprio così?
Vincenzo Tiberio, un genio dimenticato
Vincenzo Tiberio nacque il nel 1869 a Sepino, in provincia di Campobasso, da una famiglia benestante. Fin dagli anni del liceo mostrò una propensione agli studi scientifici tanto che il padre decise di iscriverlo alla facoltà di Medicina di Napoli. Durante il periodo universitario il giovane Tiberio trovò ospitalità presso gli zii, ad Arzano.
Lì l’acqua potabile veniva prelevata da un pozzo, che divenne in breve tempo la fonte di ispirazione il giovane, dotato soprattutto di una spiccata capacità di osservazione. Notò, infatti, che coloro che bevevano l’acqua del pozzo si ammalavano molto spesso di gastroenterite quando questo veniva ripulito delle muffe che si formavano, per poi guarire velocemente quando le muffe facevano il loro ritorno. L’idea che i due eventi fossero strettamente interconnessi spinse Tiberio ad approfondire l’argomento. Prelevò campioni di muffa dal bordo del pozzo e le portò al laboratorio universitario per analizzarle.
I risultati dei suoi sforzi
Era il 1895 quando finalmente Tiberio ebbe in mano dei dati soddisfacenti. Li pubblicò sugli Annali di Igiene Sperimentale, a quel tempo una delle riviste scientifiche più autorevoli nel campo microbiologico. Pur parlando fluentemente l’inglese, il francese e il tedesco, Tiberio decise di pubblicare i suoi studi nella sua lingua madre, come era prassi a quel tempo. Pasteur pubblicava in francese, Chain in tedesco. A proposito di questi studi Salvatore De Rosa, scienziato all’Istituto di chimica biomolecolare del CNR di Pozzuoli, come riportato da “Il Corriere della Sera” ha detto:
«Nei documenti scritti da Vincenzo Tiberio sono descritte in dettaglio le condizioni di crescita delle varie muffe isolate, il metodo di estrazione acquoso delle muffe e il loro potere battericida sia in vitro sia in vivo. Viene evidenziato il potere chemiotattico degli estratti delle muffe nelle infezioni da “Bacillo del tifo” e “Vibrione del colera”, con l’utilizzo come cavie dei conigli e la tecnica delle infusioni sottocutanea e intraperitoneale. Il lavoro risulta molto meticoloso, con dettagli sperimentali e una serie di tabelle in cui riporta l’azione degli estratti sulle cavie utilizzate»
Nonostante tutto però la scoperta di Tiberio non venne presa in considerazione dal mondo accademico. Con tutta probabilità il genio del microbiologo molisano era troppo avanti per il suo tempo e sarebbero serviti ancora diversi anni perché se ne riconoscesse l’importanza.
La penicillina di Fleming
Passarono decenni e intanto Tiberio veniva stroncato da un infarto miocardico nel 1915. La sua scoperta non fu più degnata di attenzioni finché nel 1929 Alexander Fleming non si imbatté in una muffa prodotta da un fungo, il Penicillium Chrysogenum, che era in grado di inibire la crescita di molti ceppi di stafilococchi e di streptococchi. Sebbene fossero passati quasi quarant’anni dalla pubblicazione di Tiberio, Fleming non riuscì a superare il suo predecessore poiché non comprese come produrre grandi quantità della nuova sostanza chiamata Penicillina. Di fatto, dunque, Fleming non andò molto più avanti di Tiberio. La sostanza identificata dall’italiano può essere definita come la prima penicillina, provenendo questa da un’altra specie di Penicillium, il Penicillium Glaucum.
Ma Fleming conosceva Tiberio e i suoi studi? Sebbene l’inglese non lo ammise mai, è assai probabile che li conoscesse, e anche abbastanza bene. Chain ammise che lui e i suoi collaboratori erano al corrente degli studi italiani, ed è alquanto improbabile che, vista la rilevanza della rivista su cui furono pubblicati, fossero passati davvero così inosservati.
Il premio Nobel per la penicillina
Dopo che Fleming rese nota la possibilità di uccidere molti batteri attraverso la sostanza da lui scoperta ci si pose il problema di come fare per produrla in quantità industriali. Nonostante fossero trascorsi già diversi decenni dal lavoro di Tiberio, però, nessuno fu in grado di risolvere questo problema. Si dovette aspettare ancora più di dieci anni prima che, all’inizio degli anni ’40, Chain e Florey riuscissero nell’impresa. Nel 1945 i tre scienziati ricevettero l’ambito premio Nobel per questa loro scoperta.
E Tiberio? Ancora oggi l’Italiano, vero scopritore delle potenzialità della penicillina, resta nell’ombra. In molte Università italiane si attribuisce la scoperta all’Inglese e i suoi scritti sono ancora in attesa dell’attribuzione del valore che meritano.
I tempi non erano maturi ad accogliere una scoperta come quella di Tiberio, le istituzioni furono cieche e non capirono ciò che avevano di fronte. Non potevano capire. Il molisano si mostrò essere cinquant’anni avanti rispetto ai tempi in cui visse.
I suoi nipoti si battono da tempo affinché questo personaggio ottenga gli onori che si è meritato. Sono passati tanti anni, ma nella Scienza le cose che si producono restano scritte, indelebili e prima o poi si dovrà prenderne atto.