Ancora una volta i programmi vaccinali danno i loro frutti. Vaccinare, infatti, significa prevenire e, soprattutto quando di mezzo c’è il cancro, significa salvare vite. La vaccinazione contro il papilloma virus umano (HPV) è l’unica, ad oggi, in grado di prevenire efficacemente l’insorgenza di un tumore: quello della cervice uterina. Questo virus è, infatti, in grado di determinare la degenerazione neoplastica della cellula ospite.
Le stime indicano che circa l’80% delle donne avranno a che fare, almeno una volta nella vita, con un’infezione da un qualche ceppo di HPV e, il 50% di queste incontreranno un ceppo potenzialmente in grado di causare un cancro alla cervice uterina (dati ISS) .
Nel 2007 per le ragazze e nel 2013 anche per i ragazzi, l’Australia ha avviato una campagna vaccinale gratuita dei soggetti tra i 12 e i 13 anni, prevedendo una doppia dose di vaccino per ciascuno sotto i 19 anni di età. Tutto ciò ha comportato un calo drastico degli episodi di carcinoma alla cervice uterina HPV dipendente. Solo l’1% delle donne tra i 18 e i 24 anni ha avuti questo problema, contro il 24% pre-campagna.
I risultati sono lampanti e le prospettive sono ancora migliori. Continuando a vaccinare, infatti, l’Australia raggiungerà presto la quota di popolazione immune alla malattia in grado di garantire l’immunità di gregge e, a quel punto, l’HPV non farà più alcuna paura.
La famiglia dei papilloma virus conta circa 120 ceppi diversi. Tra questi vi si trovano virus totalmente innocui, o a basso rischio oncogeno, ed alcuni, come il 16 e il 18 ad alto potere trasformante, o ad alto rischio oncogeno.
Questi ultimi ceppi virali producono delle proteine in grado di modificare il ciclo vitale di una cellula. Ma facciamo un passo indietro.
In una cellula sana la frequenza con cui questa si riproduce è strettamente controllata da diversi geni codificanti per alcune proteine come p53 e pRb. Queste due proteine sono due agenti anti tumorali, in grado di bloccare la replicazione cellulare nel caso il genoma non sia perfettamente integro.
L’HPV possiede dei geni con le istruzioni per produrre gli inibitori di queste proteine, consentendo alla cellula di riprodursi più velocemente e più spesso, anche in presenza di mutazioni. Il cancro è secondario a tutto questo; una volta accumulate diverse mutazioni genetiche la cellula acquisisce le caratteristiche di una cellula tumorale, come la capacità di invadere i tessuti circostanti e la possibilità di dividersi senza regola.
Dal 2017 è arrivato sul mercato un vaccino 9-valente, il Gardasil 9®, in grado di immunizzare dai ceppi: 16 e 18, responsabili del maggior numero di degenerazioni tumorali; 31, 33, 45, 52, 58, i più comuni tra i potenzialmente oncogeni; 6 ed 11, non correlati con il cancro ma responsabili della formazione di condilomi genitali.
Questo vaccino non contiene il virus in quanto tale ma alcune proteine tipiche dei vari ceppi virali. Il sistema immunitario viene, di fatto, addestrato a riconoscere questi antigeni così da essere pronto in caso di aggressione da parte del virus vero e proprio. Non c’è in questo modo la possibilità di manifestare i segni della malattia, in quanto non viene inoculato alcun ceppo virale.
In Italia la vaccinazione contro HPV è gratuita e consigliata intorno ai 12 anni di età ma la situazione è tutt’altro che rosea e non paragonabile a quella australiana.
L’ultimo aggiornamento, datato Luglio 2018, dell’Istituto Superiore di Sanità conferma il trend negativo ed il calo delle vaccinazioni contro HPV. Solo il 49,9% delle ragazze risulta aver terminato il ciclo vaccinale mentre un 64,3% ne ha ricevuto almeno una dose. I dati indicano un’ulteriore flessione nel 2017 rispetto agli anni precedenti e questo è un vero e proprio paradosso data la natura del vaccino stesso.