Una delle maggiori difficoltà nell’utilizzo delle protesi da parte del paziente viene da quella che prende il nome di sindrome dell’arto fantasma. Questa consiste nella sensazione, spesso dolorosa, di possedere ancora l’arto mancante. Inoltre, questo arto “fantasma” viene percepito come molto più piccolo di quello perso. A creare ulteriore distacco tra il soggetto e la protesi è la mancanza di propriocezione, nel caso in cui la protesi non fornisca un feedback sensoriale.
L’obiettivo dello studio recentemente pubblicato sul Journal of Neurology, Neurosurgery & Psychiatry è allora proprio quello di far percepire al paziente l’arto bionico come appartenente al proprio corpo. La nuova tecnica, basata sull’utilizzo della realtà virtuale, è frutto della prolifica collaborazione tra Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e la Scuola politecnica federale di Losanna (EPFL).
I due istituti hanno già collaborato in varie ricerche che coinvolgono il mondo delle protesi: dallo studio sul meccanismo del tatto fino all’impianto della prima mano robotica sensibile in Italia.
L’idea di base è quella di ingannare il cervello attraverso stimoli visivi e tattili. La tecnica, testata per la prima volta su due pazienti presso il Policlinico Gemelli di Roma, consiste nel fornire sensazioni tattili al “dito” della mano fantasma, attraverso la stimolazione di un nervo periferico della parte amputata. Contemporaneamente, il soggetto indossa un visore per la realtà virtuale che mostra il dito indice dell’arto protesico illuminarsi in sincronia con le sensazioni tattili somministrate.
Il cervello utilizza regolarmente i suoi sensi per valutare ciò che appartiene al corpo e ciò che è esterno. Abbiamo dimostrato esattamente come la visione e il tatto possono essere combinati per ingannare il cervello dell’amputato nel sentire ciò che vede, inducendo l’incarnazione della mano protesica con un ulteriore effetto che l’arto fantasma “cresce” in quello prostetico.
Afferma Giulio Rognini dell’EPFL’s Laboratory of Cognitive Neuroprosthetics.
Entrambi i pazienti hanno riferito di aver realmente percepito la mano artificiale come parte del proprio corpo. Non solo, hanno anche percepito il loro braccio per intero, come se si fosse “esteso”, e l’effetto è durato fino a 10 minuti dopo l’esperimento.
Il set up è portatile e potrebbe un giorno essere trasformato in una terapia per aiutare i pazienti ad incorporare in modo permanente l’arto protesico.
Conclude Rognini.
A cura di Jacopo Ciampelli