Ma quanto siamo complessi? 1000 geni a regolare la pressione sanguigna
1000 geni per regolare la pressione sanguigna. Ecco quello che affermano gli studiosi firmatari dell’articolo pubblicato su Nature Genetics. Prima di questo studio si pensava che “solo” 500 di essi fossero implicati in questo controllo; il nuovo lavoro apre le porte a 535 nuovi geni in grado di incidere sulla pressione.
Che la regolazione della pressione arteriosa avesse anche una componente genetica era noto da tempo, che fossero implicati così tanti geni sicuramente no. È incredibile infatti come possano esserci tante componenti che operano sinergicamente per mantenere questo valore nei limiti fisiologici.
L’ipertensione: il silent killer
L’ipertensione, quello stato per cui la pressione arteriosa è costantemente sopra la media, è definita da molti come un “silent killer”. Molto spesso è una condizione che resta asintomatica ma che è ritenuta essere la causa di morte di oltre 7,8 milioni di persone ogni anno. Può essere, infatti, alla base di patologie come ictus ed disordini delle coronarie.
Comprendere a fondo come il nostro organismo sia in grado di mantenere la pressione arteriosa entro i range è fondamentale. Ciò, infatti, permetterà un migliore approccio terapeutico qualora si entri nel campo patologico.
I numeri dello studio
Il lavoro portato avanti dai ricercatori della Queen Mary University of London e dell’Imperial College London ha dei numeri veramente impressionanti. Lo studio ha preso in considerazione i dati di oltre un milione di persone, delle quali sono state valutate le correlazioni tra i loro geni e i parametri di Pressione Sistolica, Pressione Diastolica e Pressione Pulsatoria, ovvero la differenza tra le prime due.
I risultati sono stati altrettanto imponenti dal punto di vista numerico. Ben mille sono risultati i geni, disposti in 901 loci genici, in grado di modificare i valori pressori. Ben 535 geni sono stati aggiunti alla lista di quelli implicati in questo tipo di regolazione.
Uno sguardo ad alcuni geni
Dei 535 geni che il nuovo studio ha potuto correlare con il mantenimento della pressione sanguigna, alcuni sono particolarmente interessanti.
Alcuni di questi appartengono al pathway del TGFß che, tra le altre funzioni, interviene nel mantenimenti dei corretti livelli di sodio nel rene e nel rimodellamento ventricolare. I livelli stessi di TGFß nel plasma sono stati recentemente correlati con l’ipertensione, in questo articolo del 2017.
La produzione eccessiva di aldosterone, un ormone surrenalico fondamentale nella regolazione della pressione arteriosa, è responsabile di circa il 5-10% dei casi di ipertensione. Questo valore sale al 20% se si prendono in esame soltanto le condizioni che non rispondono ai comuni trattamenti farmacologici.
Non sorprende, quindi, che tra i 535 nuovi geni individuati ve ne siano alcuni legati funzionalmente alla produzione di aldosterone.
La lista sarebbe ancora molto lunga e complessa ma un’attenzione particolare la meritano quei geni legati al metabolismo dei grassi. Infatti il gene codificante per l’Apolipoproteina E (APO-E), principale costituente proteico di molecole chiamate chilomicroni e destinate a garantire un corretto assorbimento dei grassi derivati dalla dieta, sembra essere fondamentale nel mantenimento della corretta pressione arteriosa. È stato visto, a tal proposito, che in modelli murini una sua distruzione porta a frequenti fenomeni di aterosclerosi e ipertensione.
Quanto influisce la genetica nell’ipertensione?
Secondo i risultati proposti da questo ultimo lavoro la genetica ha un ruolo molto rilevante nel determinare il valore della PA. Sono state evidenziate differenze di più di 10 mmHg tra individui con un patter genico favorevole rispetto a chi possiede una genetica particolarmente predisposta all’ipertensione.
Ciò ha delle importanti implicazioni pratiche. Essere a conoscenza di questi parametri può contribuire ad indicare ad alcuni soggetti di prestare un’attenzione particolare al proprio stile di vita oltre che a individuare nuovi bersagli terapeutici.
Alcuni loci genici non sono ancora bersaglio di alcun anti ipertensivo; uno invece, è risultato essere il target di un farmaco utilizzato nel trattamento del Diabete Mellito di tipo II, il canaglifozin. Questo dato porta i ricercatori a supporre la presenza di effetti incrociati tra le terapie delle due patologie.