Il trapianto di utero da donatore vivente è ormai una realtà abbastanza comune, ed una soluzione terapeutica per l’infertilità femminile. Dal 2014 in poi la ricerca ha fornito metodi sempre più sicuri ed efficaci che hanno portato alla possibilità, per la trapiantata, di avere dei figli.
Lo scorso 4 Dicembre sulla rivista medica The Lancet è apparso uno studio che ha aperto nuove speranze per alcune donne che non hanno la possibilità di avere un bambino. I ricercatori dell’Università di San Paolo hanno annunciato un successo importante nel mondo dei trapianti. Una donna ha partorito una bambina sana dopo aver ricevuto l’utero di una persona deceduta. È il primo caso al mondo.
La donna trapiantata è una 32enne portatrice di una rara anomalia congenita caratterizzata dal mancato sviluppo di utero e vagina che può essere parziale quanto completo: la sindrome di Mayer Rokitansky Kuster Hauser.
In questo quadro patologico nel 2016 la donna ricevette, da una donatrice di 45 anni deceduta a causa di un infarto miocardico, il trapianto dell’utero. Nei quattro mesi precedenti al trapianto la paziente è stata sottoposta ad un ciclo fertilizzante di quattro mesi. Questo è stato necessario per produrre otto blastocisti, raccolte e poi congelate.
Nel periodo post operatorio la donna ha risposto bene ai trattamenti immunosoppressivi volti ad evitare forme di rigetto e le prime mestruazioni sono comparse 37 giorni dopo. Trascorsi sette mesi dal trapianto, al primo tentativo di impianto di un embrione, è iniziata la gravidanza.
Il cesareo è stato previsto ed effettuato il 15 Dicembre 2017, dopo 36 settimane di gestazione. Una bimba di 2,5Kg è nata assolutamente sana.
Terminata la gravidanza i chirurghi hanno rimosso l’utero seguendo lo stesso metodo con cui lo avevano trapiantato e le terapie immunosoppressive sono state sospese.
La pubblicazione di un lavoro come questo, oltre a riportare l’attenzione sull’importanza della donazione degli organi, apre una speranza per alcune di quelle donne affette da patologie che causano infertilità per problemi uterini.
È evidente che il numero di donatori deceduti può essere enormemente più grande di quelli viventi.
Certo non si tratta di una procedura banale, come si sarà potuto intuire. Ma in fondo il desiderio di poter avere un proprio figlio può spingere molte donne a questo genere di trattamento.
Ora i ricercatori attendono di poter confermare i risultati e dimostrare la possibilità di ripetere la procedura su altri soggetti.