Prima e dopo la teoria dei buchi neri

Ad ognuno di noi, almeno una volta nella vita, sarà capitato di guardare il cielo durante una notte stellata e limpida e di domandarsi tra sé e sé: chi siamo? Da dove veniamo? Che cosa c’è lassù?

Uno sguardo al passato: la teoria prima dei buchi neri

L’esistenza di queste domande parte dall’antica Grecia, per l’esattezza tra il V e il IV secondo a.C, quando Platone, per la prima volta, fu in grado di avanzare una embrionale teoria di modello celeste: “la Terra è al centro dell’Universo, ed è circondata da otto sfere orbitanti che ospitano, in ordine, la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove, Saturno e infine le stelle fisse”, affermava la teoria delle otto sfere.

Rappresentazione della teoria delle otto sfere.
Crediti: mostre.museogalileo.it

Teoria ben accettata e addirittura approfondita dall’astronomo Tolomeo, che la rese compatibile con le osservazioni ed i dati raccolti a quel tempo. Fu soltanto con l’avvento di Copernico, Keplero e Galileo che le cose cambiarono (siamo già a cavallo tra il XVI e il XVII secolo), e si passò da un modello geocentrico ad uno eliocentrico, per l’incongruenza di un modello a otto sfere con la Terra ferma, al centro dell’Universo. Attraverso le leggi di Keplero si passò poi ad una caratterizzazione delle orbite ellittiche piuttosto che circolari e concentriche.

Furono proprio queste nuove dichiarazioni a suscitare l’interesse degli scienziati, i quali cominciarono ad interrogarsi su quali fossero i meccanismi che regolavano i movimenti dei corpi celesti; in particolare, fu l’avvento di Isaac Newton a formulare una teoria finalmente esatta e completamente in accordo con i dati raccolti: la legge di gravitazione universale. Secondo quest’ultima, ogni punto materiale presente nell’Universo e dotato di massa viene attratto da ogni altro corpo puntiforme, dotato anch’esso di massa, con una forza direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato delle distanze: in altre parole, più due corpi sono vicini e più si attraggono, e la forza di attrazione sarà tanto più intensa quanto più grandi saranno le loro masse.

La teoria di Newton.
Crediti: www.argomentidifisica.wordpress.com

Oggi, è solo grazie a questa legge che gli studiosi sono perfettamente in grado di fare previsioni con altissima accuratezza sul moto di stelle e pianeti, di descriverne le traiettorie e di lanciare satelliti e sonde che seguiranno un cammino ben preciso: insomma, Newton aprì le porte a discipline come l’astrofisica, la cosmologia e la meccanica quantistica.

Verso nuovi orizzonti: lo spazio-tempo e l’Universo in espansione

Il trampolino di lancio avviato da Newton fu a dir poco straordinario: l’Universo poteva essere considerato come un grande orologio cosmico in cui tutti i suoi elementi obbedivano a leggi universali che, una volta portate alla luce, avrebbero permesso agli studiosi di prevedere il comportamento degli stessi.

Di qui Laplace, Joule, Lord Kelvin, Gibbs, e tanti altri come Boltzmann e Maxwell si servirono di tale universalità per scoprire leggi sempre più sofisticate che viaggiavano dalla chimica alla termodinamica.

L’avvento di Einstein, tuttavia, scombussolò completamente le predizioni di Newton. Secondo lo scienziato, infatti, non era assolutamente possibile parlare di una legge che potesse avere effetti istantanei solo in base alla distanza tra due corpi o alla loro massa, e questo perché, secondo le teoria della relatività ristretta, la distanza tra due punti o gli intervalli di tempo entro cui si verificavano certi fenomeni erano relativi allo stato di moto dell’osservatore.

Nel 1915 Einstein formulò la teoria della relatività generale, dopo lunghe osservazioni e giungendo infine alla conclusione che i fenomeni astronomici non potessero essere spiegati considerando spazio e tempo come unità distinte, bensì questi andavano speculati come un’unica entità, denominata spazio-tempo.

Secondo Einstein, la presenza di materia o energia altera la conformazione dello spazio-tempo provocandone una curvatura, basti pensare ai raggi di luce che arrivano da molto lontano e che, ad esempio in prossimità del Sole, si discostano dalla loro traiettoria rettilinea per seguire la deviazione dello spazio-tempo: un po’ come i treni che viaggiano sulle rotaie seguendo percorsi ben definiti.

La teoria sulla curvatura dello spazio-tempo.
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Ben presto la visione di un Universo statico e immutabile fu spodestata, poiché le teorie avanzate da Einstein e approfondite dalle sue equazioni portavano alla visione di un Universo in moto, per l’esattezza in espansione continua ed ovunque soggetto a curvature dello spazio-tempo per la presenza incommensurabile di particelle e antiparticelle sparse in esso.

Diverse teorie si susseguirono sullo studio della visione di Einstein e dello spazio-tempo mutabile: in origine, quel famoso meccanismo di cui parlava Newton, doveva corrispondere ad un singolarità, senza spazio né dimensione, in cui materia ed energia erano concentrate. E poi una grande esplosione cosmica, conosciuta come il Big Bang, dopo la quale quel densissimo e caldissimo punto cominciò gradualmente ad espandersi e raffreddarsi, raggiungendo la configurazione attuale.

Rappresentazione della teoria del Big Bang.
Crediti: www.marcopassarella.it

La teoria di Stephen Hawking

Intorno al 1965, il celeberrimo scienziato Stephen Hawking cominciò ad interessarsi alla teoria del cosmo, nonché a quella sulla relatività generale, venendo a conoscenza di una scoperta interessantissima: una stella di massa elevatissima ha una vita di milioni di anni, durante i quali sussiste un perenne equilibrio tra la forza di gravità, che attrae l’un l’altra le particelle da cui è costituita la stessa, e la pressione esercitata dai gas che la compongono. In particolare, i nuclei di idrogeno di cui è fatta la stella, quando entrano in contatto, originano particelle di elio; una volta esaurito l’idrogeno, la pressione gassosa non è più in grado di bilanciare l’attrazione gravitazionale delle singole particelle, e quindi la stella implode letteralmente dentro sé stessa (fenomeno conosciuto come collasso gravitazionale) originando un buco nero. Il bordo del buco nero è la zona in cui velocità della luce e velocità centrifuga coincidono, ed è chiamato orizzonte degli eventi.

La teoria dei buchi neri. Crediti: www.capsaicinasite.wordpress.com

Hawking parte da qui: la teoria del buco nero, o singolarità dello spazio-tempo perché in effetti una stella supermassiccia si è ridotta ad una vera e propria singolarità, può essere applicata all’Universo, supponendolo in origine come un punto privo di dimensioni che ha subito una violenta esplosione verso l’esterno. Di qui la divisione tra buchi neri primordiali, risalenti alle origini del tutto, e i buchi neri stellari.

Quel che oggi sappiamo dalla teoria classica è che sono solo tre le informazioni che possiamo dedurre da un buco nero: la massa, la carica elettrica e la velocità di rotazione. Non è quindi possibile risalire alla stella che li ha originati, e questo a causa del famoso paradosso dell’informazione, secondo cui i buchi neri “non hanno peli”, poiché tutte le caratteristiche un istante prima della loro generazione restano intrappolate dietro l’orizzonte degli eventi.

La teoria del paradosso dell’informazione.
Crediti: www.spazio-tempo-luce-energia.it

La teoria di Hawking continuava ad avanzare come un treno, e già nel 1970 egli riuscì a teorizzare che un buco nero non può che aumentare: poiché nessun corpo finora scoperto ha un’energia cinetica tale da poter sfuggire dal campo gravitazionale di un buco nero, questi ingloba la massa di ogni oggetto che vi cade. In particolare, se due buchi neri dovessero cominciare ad interagire, il nuovo buco nero avrebbe una massa almeno pari alla somma delle masse dei buchi neri originali.

Fonte: National Geoographic – Genius Scienza – “Stephen Hawking: i buchi neri e la teoria del Big Bang”

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Matilde Italiano