L’infarto cerebrale, o ictus ischemico, rappresenta, come mostrano i dati dell’OMS, la seconda causa di morte a livello globale. Un evento di questo tipo si verifica quando, a causa di un’occlusione vascolare, una regione del cervello resta priva di ossigeno e nutrienti. I neuroni sono le cellule più sensibili alla mancanza di ossigeno, perciò quando un’arteria diretta al cervello viene ostruita i danni sono pressoché immediati.
La mancanza di nutrienti, tuttavia, non è il solo evento nocivo. La successiva reazione immunitaria è responsabile di un peggioramento della situazione. Una sua riduzione, come dimostrato da una recente ricerca apparsa su Nature Immunology, sarebbe in grado di ridurre le conseguenze di un infarto cerebrale.
Il gruppo di ricerca della Stanford University guidato da Katrine Andreasson, professoressa di Neurologia nello stesso ateneo, ha mostrato come, a seguito di un evento ischemico cerebrale, la situazione venga peggiorata da una vigorosa reazione infiammatoria e come una sua riduzione possa essere un potenziale trattamento per questa patologia.
Le cellule danneggiate rilasciano una gran quantità di componenti altamente immunogeni nella circolazione sistemica.
I ricercatori hanno messo in evidenza come dopo un infarto cerebrale le cellule della linea mieloide esprimano quantità importanti una proteina di membrana: TREM1 (triggering receptor expressed on myeloid cells 1).
Questa proteina è un amplificatore della risposta immunitaria che, in condizioni fisiologiche, è coinvolta nella reazione dell’organismo verso fenomeni infiammatori. In alcune situazioni, però, la sua espressione eccessiva può causare effetti controproducenti: è questo il caso, per esempio, dell’infarto cerebrale, di quello cardiaco e di alcuni tumori.
Durante lo studio, condotto su cavie, è stato visto come riducendo farmacologicamente o geneticamente l’espressione di TREM1 si possano ridurre le conseguenze di un evento ischemico cerebrale.
Grazie all’utilizzo di una porzione di TREM1, identificata come LP17, i ricercatori hanno minimizzato i danni in topi che avevano subito un’occlusione vascolare ben 48 ore prima.
Questa molecola agisce, di fatto, come un’esca nei confronti di quei componenti che vanno ad attivare eccessivamente TREM1. Di conseguenza l’attivazione delle cellule mieloidi si riduce, limitando i danni al tessuto cerebrale.
L’asse intestino-cervello è una di quelle connessioni oggetto di intensi studi. Le nostre conoscenze a proposito crescono giorno dopo giorno e, sebbene sia una scoperta recente, le prove a supporto di una stretta connessione funzionale tra cervello e microbiota vanno via via aumentando.
Il gruppo di ricerca di Stanford ha evidenziato come cambiamenti interessanti si verifichino proprio a livello intestinale dopo un infarto cerebrale.
In questi frangenti il sistema nervoso simpatico invia segnali all’intestino. La parete intestinale si fa più lassa,tanto da permettere ad alcuni batteri di migrarvi attraverso. Tali batteri, poi, sono in grado di amplificare la risposta immunitaria e di aumentare il rischio di infezioni post infartuali.
Ad oggi le terapie a disposizione per i pazienti colpiti da infarto cerebrale sono la terapia trombolitica e la rimozione chirurgica del trombo. Purtroppo queste terapie hanno un grande limite: il tempo. Per poter essere eseguite, infatti, il paziente deve essere sottoposto al trattamento nel giro di poche ore dall’evento ischemico. Ciò esclude una gran parte dei casi che, per diversi motivi, non giungono in tempo all’attenzione medica.
La possibilità di intervenire, anche solo limitando i danni, inuna finestra temporale molto più ampia (due o più giorni) potrebbe migliorare le aspettative di trattamento in un gran numero di pazienti.
Fonti ed approfondimenti: