I sistemi di autenticazione oggi in uso sono sorprendenti rispetto ad una decina di anni fa. Ma se pensate che sbloccare il proprio smartphone con l’impronta digitale sia il massimo che possiamo fare non avete fatto i conti con MindPrint, il progetto promosso da Vibre, una startup tutta italiana che ha messo a punto un sistema per trasformare il nostro cervello in una sorta di password.
Vibre, da anni attiva nel mondo delle interfacce cervello-computer (sistemi in grado di connettere in maniera diretta mente e dispositivi di qualsiasi genere, come smartphone e sistemi di domotica) da diversi mesi ha iniziato a studiare come il cervello umano sia caratteristico e unico per ogni persona. Da sempre infatti gli studi scientifici hanno ipotizzato che ogni cervello, data la sua complessità, potrebbe essere differente l’uno dall’altro; differente e unico per ogni persona.
“Circa un anno fa abbiamo iniziato ad esplorare alcuni campi ancora non valutati nel mondo delle interfacce neurali. Tra questi, proprio il settore della biometria basata sull’analisi dei segnali cerebrali è quello che maggiormente ci ha colpiti. Ci ha colpiti perché abbiamo analizzato le debolezze delle attuali tecnologie di autenticazione, a partire da quelle basate semplicemente su password fino a quelle basate su riconoscimento facciale, impronte digitali, riconoscimento vocale e così via. Queste, infatti, risultano facilmente replicabili e, dunque, facilmente aggirabile. Uno studio recente dell’Università di Bologna, ad esempio, ha mostrato quanto sia semplice aggirare i sistemi di riconoscimento facciale automatici attraverso tecniche di morphing. Allo stesso modo, è possibile combinare impronte digitali e ottenere effetti identici”
– spiega Raffaele Salvemini, il CEO di Vibre.
Il team di Vibre ha iniziato dunque a lavorare alla comprensione delle unicità del cervello umano, utilizzando, inoltre, hardware a basso costo disponibili sul mercato; questa la vera sfida: riuscire a ottenere validi risultati con sistemi dal costo di poco più di un centinaio di euro. Dopo mesi di acquisizione dati, il team composto da Ingegneri Biomedici e Informatici che vede al lavoro Raffaele Salvemini, Stefano Stravato, Sara Piras, Luca Talevi e Marco Renzi, ha lanciato la conferma: ogni cervello è diverso per ogni persona, e queste differenze si palesano nel segnale cerebrale vale a dire l’attività elettrica del cervello.
“Il cervello è una macchina estremamente complessa. Da anni si è ipotizzato che, data questa sua intrinseca complessità, la sua articolata struttura potesse avere un qualcosa di unico, caratterizzante per ogni persona. Per quanto alcuni processi siano simili per tutti, come l’attivazione delle aree cerebrali durante lo svolgimento di uno stesso compito, a partire dal fatto che ognuno di noi è geneticamente diverso e che ha vissuto una storia diversa si è ipotizzato che alcune caratteristiche dei segnali generati dal cervello differissero per ogni individuo e di conseguenza potessero costituire identificatori biometrici. A partire da queste considerazioni, abbiamo intrapreso lo sviluppo di MindPrint con questa assunzione: se con il nostro sistema riusciamo a distinguere robustamente una persona dall’altra, allora questo tratto distintivo realmente esiste. Oltre a portare un’ulteriore conferma sull’esistenza di questo identificatore mentale, la nostra tecnologia ha dimostrato che questo è rappresentato con sufficiente efficacia nel tracciato EEG (elettroencefalografico), quindi in termini di “onde cerebrali” facilmente registrabili con strumenti non invasivi”.
– spiega Luca Talevi, CTO di Vibre.
Il sistema MindPrint è già disponibile in prevendita e nasce con lo scopo di superare i limiti delle attuali tecnologie di autenticazione, con l’idea di fondere i vantaggi delle soluzione biometriche e delle tradizionali password. Il tutto con un semplice dispositivo indossabile, con una registrazione nel sistema di soli tre minuti e un’autenticazione di pochi secondi.
“Le password hanno un grosso vantaggio che la biometria non ha: si possono modificare. Un’impronta digitale, invece, resta identica per tutta la vita. Abbiamo pensato, quindi di fondere entrambi i concetti e sfruttare appieno tutte le caratteristiche e i vantaggi che il cervello umano, inserendoli in questo innovativo sistema. L’impronta mentale, ad esempio, non è uguale per l’intera vita. Infatti, grazie alla plasticità neuronale che modifica l’assetto cerebrale grazie all’esperienza, giorno dopo giorno, il nostro sistema è in grado di individuare le mutazioni che avvengono con il passare dei giorni andando a modificare la nostra password mentale. In questo modo il sistema risulta sempre aggiornato all’ultima versione del nostro cervello, risultando praticamente inattaccabile. È da sottolineare che il segnale cerebrale è uno stream di dati, senza forme stereotipate: è questo che rende l’impronta mentale non replicabile in alcun modo. Tra gli altri vantaggi, è importante sottolineare l’autenticazione continua: una volta consentito l’accesso, il sistema continua a confermare l’identità dell’utente per l’intera durata dell’operazione”.
– spiega Salvemini.
Il team dichiara che un sistema di tale portata possa essere di grande vantaggio per l’accesso ad aree riservate, fisiche e online, in cui è necessario dotarsi di estrema sicurezza. Soprattutto a causa dell’ingente numero di frodi dovuti ad account takeover e conseguenti a furti di identità. Ogni due secondi, infatti, negli Stati Uniti avviene un furto di identità, con un danno complessivo annuo di oltre 50 miliardi di dollari.
“MindPrint si rivolge ad un mercato B2B: il sistema sarà utilizzato dai dipendenti di aziende di settori differenti e laboratori che richiedono alta sicurezza per accedere in particolari aree. Fra cinque anni, con la crescita del mercato delle interfacce neurali che si stima arrivare a 1800 miliardi di dollari, contiamo di raggiungere un livello di massa, consentendo agli utenti di effettuare pagamenti online o accedere ai propri servizi online in maniera semplice e sicura, senza dover passare su più dispositivi per ottenere token di sicurezza o inserire codici su codici”
– conclude Salvemini.