Questa è quel genere di notizia che non vorresti leggere mai e poi mai. Perché i bambini, tutti, dovrebbero essere felici, giocare e proiettarsi al futuro.
La notizia che ha fatto il giro del mondo, spezzando il cuore a tutti. La figlia di Luis Enrique, Xana, è deceduta alla tenerissima età di nove anni. Lottava da tempo con un osteosarcoma, un tumore osseo.
Come riportato dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC), “si tratta del tumore più comune fra quelli primitivi delle ossa che ha origine da precursori degli osteoblasti, alcune delle cellule di cui è composto un osso, bloccati nel processo di differenziamento verso la cellula matura in una forma immatura e cancerosa”.
I tessuti che costituiscono le ossa possono sembrare “morti” per via della durezza e del fatto che non cambiano forma una volta raggiunta l’età adulta; contrariamente invece le ossa sono in realtà costituite da cellule vive e attive che contribuiscono a mantenerne forma e forza.
L’osteosarcoma registra ogni anno, nel nostro paese, circa 700 nuovi casi di tumori maligni primitivi dell’osso e il 20-25% è rappresentato da osteosarcomi (110-125 casi all’anno). Può colpire a qualunque età, ma è più frequente tra gli adolescenti e i giovani adulti: l’incidenzaannuale della malattia non fa preferenze di sesso (sostanzialmente 50% maschi 50% femmine).
Le cause che portano allo sviluppo di questa patologia sono in gran parte sconosciute, tuttavia, le caratteristiche della malattia hanno permesso di individuare alcuni fattori di rischio: si manifesta soprattutto in bambini e adolescenti, cioè nel periodo di massima crescita dell’osso; gli adolescenti affetti da osteosarcoma infatti sono in genere piuttosto alti per la loro età: dunque si sostiene che la crescita rapida dell’osso sia un fattore di rischio. Vi è poi l’esposizione a radiazioni che in genere si verifica a causa di trattamenti di radioterapia per curare altri tipi di tumore. Infine, ma non meno importanti, i fattori di rischio genetici come le mutazioni nei geni oncosoppressori p53 e RB1 responsabili anche della comparsa di altri tipi di cancro quali la sindrome di Li-Fraumeni, legata a mutazioni del gene p53; la sindrome di Rothmund-Thompson, legata a mutazioni nel gene REQL4 che causa altre patologie scheletriche, la sindrome di Bloom, quella di Werner e il retinoblastoma, un raro tumore infantile della retina legato alla perdita parziale o totale del gene RB1.
Il sintomo più comune è il dolore all’osso colpito dal tumore, con gonfiore e tumefazioni. Il grado di dolore è variabile e inizialmente può essere debole e intermittente per poi peggiorare con il tempo: “in alcuni casi il tumore indebolisce l’osso al punto da provocare fratture che vengono definite patologiche, per distinguerle da quelle traumatiche di un osso sano” – spiega l’AIRC. Attualmente, purtroppo, non esiste alcun tipo di prevenzione efficace per ridurre il rischio di sviluppare questo tipo di cancro.
Per ottenere una diagnosi certa di tumore dell’osso si eseguono uno o più esami di diagnostica per immagini come una radiografia della regione sospetta, seguita da una scintigrafiaossea o dalla PET (tomografia a emissione di positroni). Questi ultimi due esami permettono di stabilire con qualche certezza l’origine della lesione visibile con la radiografia e riescono a determinare la presenza di metastasi anche in regioni diverse da quella di origine del tumore. In alcuni casi si ricorre alla TC (tomografia computerizzata) o la risonanza magnetica.
Dopo questa sfilza di esami viene eseguita solitamente la biopsia ossea, l’unico esame che permette di diagnosticare con certezza il cancro. Il prelievo del tessuto osseo per la biopsia può essere effettuato con speciali aghi che permettono di asportare cilindri di tessuto o una piccola quantità di cellule tumorali; in alternativa si esegue una procedura chirurgica vera e propria che prevede l’esposizione dell’osso e viene eseguita sotto anestesia.
I principali trattamenti per l’osteosarcoma sono la chirurgia e la chemioterapia, solitamente utilizzate in combinazione.
Fino agli anni Sessanta si procedeva all’amputazione dell’arto malato ma oggi, grazie soprattutto ai progressi nella diagnosi precoce e a nuovi farmaci più efficaci, è possibile rimuovere solo la parte malata dell’osso sostituita da un innesto costituito da un osso prelevato da un’altra parte del corpo del paziente (o di un donatore) oppure con una protesi metallica e/o di altro materiale. Applicazione tuttavia problematica nei bambini in fase di crescita: solitamente infatti, dopo il primo intervento, ne potrebbero servire altri per sostituire la protesi originale con un’altra più lunga e adeguata alla crescita. Le protesi di oggi però sono capaci di adeguarsi meglio alla crescita limitando il numero di interventi.
La chemioterapia per curare l’osteosarcoma è di tipo sistemico: il farmaco entra nella circolazione sanguigna e si diffonde in tutto l’organismo. Viene eseguito uno o più cicli di chemioterapia prima dell’intervento chirurgico così da ridurre le dimensioni del tumore e favorire l’intervento chirurgico conservativo. Ne seguono poi altri cicli di chemioterapia dopo l’intervento (chemioterapia adiuvante) per eliminare eventuali cellule malate sfuggite al bisturi.
La radioterapia invece non è molto efficace ma viene utilizzata per ridurre le dimensioni del cancro prima dell’asportazione chirurgica. Attualmente sono in fase di studio nuove terapie come le terapie immunomodulanti che supportano il sistema immunitario del paziente ad attaccare e distruggere il tumore. I primi risultati positivi sono stati ottenuti dall’utilizzo del farmaco mifamurtide, che agisce come stimolatore della risposta immunitaria; altri studi recenti con anticorpi tendono a riattivare la risposta mediata dalle cellule T hanno dato risultati deludenti: poiché si tratta di una patologia dalla complessità genetica non indifferente, in grado di provocare la presenza di alterazioni molecolari multiple, le terapie mirate a specifici bersagli hanno trovato finora scarsa applicabilità. La terapia dell’osteosarcoma pertanto è ancora legata all’uso di farmaci chemioterapici convenzionali.
“Luis Enrique ha perso la figlia Xana di nove anni per un osteosarcoma. Di fronte a queste notizie terribili capiamo quanto poco possiamo contro il male e quanta strada deve ancora percorrere la nostra impotente medicina. A nove anni non si deve morire. RIP” – scrive il noto virologo su Twitter.
Per approfondire:
[1] “L’osteosarcoma è il tumore primitivo alle ossa più comune” – AIRC