Alla tenera età di 4 anni, Paul Erdos fece alla madre la seguente osservazione:
Se sottrai 250 da 100, ottieni 150 sotto lo zero.
Erdos era già in grado di moltiplicare a mente tra loro numeri di 3 e di 4 cifre, ma nessuno gli aveva mai insegnato i numeri negativi.
“Fu una scoperta autonoma“, rammentava allegramente colui che sarebbe diventato il più prolifico matematico del mondo: nel corso della sua lunga esistenza (morì il 20 settembre 1996, all’età di 83 anni) Erdos pubblicò 1475 articoli e ad impressionare non è solo la quantità ma anche e soprattutto la qualità del lavoro.
La sua vita fu strutturata in modo da massimizzare il tempo da dedicare alla matematica e negli ultimi 25 anni, dopo la morte della madre, arrivò a dedicarle 19 ore al giorno, mantenendosi sveglio con 10-20 milligrammi di benzedrina o Ritalin per volta, compresse di caffeina e caffè forte. “Un matematico è una macchina per trasformare caffè in teoremi“, si divertiva a dire e a coloro che lo invitavano a rallentare i ritmi rispondeva: “Ci sarà tempo per riposare sotto terra“.
Nessun ostacolo poteva frapporsi tra lui e la matematica. Una volta, mentre faceva colazione nel New Jersey, ad un certo punto si rese conto che aveva dimenticato di comunicare un importante risultato matematico ad un collega che viveva in California. Si diresse al telefono e cominciò a comporre il numero. Il padrone di casa lo fermò, facendogli notare che in California erano le cinque del mattino. “Bene“, rispose, “vuol dire che sarà in casa“.
Non aveva moglie, né figli, né hobby, né lavoro, e neppure una casa che lo legassero. Girovagava per i quattro continenti, spostandosi da un’università all’altra, da un collega all’altro. “La mia mente è aperta“, era solito dire ai suoi amici quando bussava alla porta di casa per fermarsi qualche tempo da loro (di solito non più di uno o due giorni), munito soltanto di una valigia logora, un cambio, le sue cellule grigie e un’eccellente predisposizione a risolvere complicati problemi numerici.
Da qui, l’origine di un’altra celebre frase in rima: “Another roof, another proof” (“Un altro tetto, un’altra dimostrazione“).
Evitava l’intimità fisica, detestava che lo si toccasse e se qualcuno gli tendeva la mano, non la stringeva ma si limitava a sfiorarla mollemente con la sua. Si lavava le mani 50 volte al giorno e, di conseguenza, cercava il bagno dappertutto.
Aveva un vocabolario speciale tutto suo. L’SF era il Sommo Fascista, il Numero Uno Lassù, Dio, che non faceva altro che tormentarlo, nascondendogli il passaporto ungherese, gli occhiali e, soprattutto, i teoremi più belli, che lui, Erdos, doveva scoprire con il massimo sforzo, andandoli a scovare in quello che chiamava il Grande Libro. “L’SF ci ha creati per godersi le nostre sofferenze” concludeva.
“Più presto moriamo, più presto sventiamo i Suoi piani“. La “epsilon”, che in matematica rappresenta quantità piccole a piacere, infinitesime, per lui indicava un “bambino”, e usava “capi” per “donne”, “schiavi” per “uomini”, “Sam” per “Stati Uniti”, “Joe” per “Unione Sovietica”, “catturato” per “sposato”, “liberato” per “divorziato”, “ricatturato” per “risposato”, “veleno” per “alcol”, “rumore” per “musica”, “predicare” per “tenere un seminario di matematica”. Se qualcuno smetteva di occuparsi di matematica, diceva che era “morto”, e se davvero era passato a miglior vita, diceva che era “partito”.
Tendeva facilmente ad annoiarsi se intorno a lui non si faceva matematica. Una volta fu invitato a cena e, quando scoprì che l’intenzione era veramente quella di cenare e non di parlare di matematica, gli cadde il naso nel piatto e si addormentò. Un episodio contrario lo riferisce il matematico polacco Mark Kac, che aveva tenuto una conferenza su un tema di scarso interesse per Erdos.
Kac confessò di essersi arenato in un certo punto, e di non essere stato in grado di risolvere un problema relativo ai divisori di un numero. A queste parole si ridestò, letteralmente, l’olfatto di Erdos come quello di un felino che percepisce odore di sangue. Erdos si immerse, al suo posto, nel problema, mentre seguiva il seminario. Prima che Kac avesse terminato il suo intervento, Erdos alzò la testa trionfante: aveva risolto il problema.
Nel 1970, a Los Angeles, quando gli fu chiesta la sua età, rispose scherzosamente che di anni ne aveva due miliardi e mezzo. Quando era bambino, si diceva che la terra avesse due miliardi di anni. Ora gli scienziati ritenevano che ne avesse quattro e mezzo: ergo, lui aveva due miliardi e mezzo di anni.
A lezione, gli studenti presero a canzonarlo, schizzando disegni che lo ritraevano in groppa a un dinosauro. “Com’erano i dinosauri?“, qualcuno di loro gli domandò. Al momento Erdos non seppe rispondere ma la risposta giusta gli venne in mente più tardi. “Chi si ricorda! Vedete, i vecchi ricordano solo i primissimi anni, e i dinosauri non sono nati che un centinaio di milioni di anni fa, come dire ieri!”.
Immagine in evidenza: Paul Erdos – crediti: www.jrbenjamin.com