Oggi, 27 gennaio, ricorre la Giornata della Memoria, istituita per ricordare le milioni di vittime dell’atroce macchina di morte nazista. La propaganda antisemita di Adolf Hitler portò alla deportazione e all’uccisione brutale di un numero non quantificabile di ebrei, colpevoli di non appartenere alla razza pura, quella ariana.
Il nazismo, tuttavia, non fu solo SS e gerarchi politico-militari. La macchia nera si diffuse anche grazie alla propaganda e alla scienza. Già, perché non era solo il vulgus ad aderire alla politica razzista tedesca, ma anche il fiore all’occhiello della scienza tedesca. Centinaia di persone con un’istruzione elitaria ed altissima, alcuni anche premi Nobel, sposarono la disciplina hitleriana.
Uno dei casi più eclatanti ed estremisti fu quello di Philipp von Lenard, mente geniale della fisica sperimentale tedesca, premio Nobel nel 1905 per i suoi studi sui raggi catodici.
Si distinse tristemente per essere l’uomo accademico più vicino al Führer, sostenendo a spada tratta la teoria della razza pure perfino nella scienza. Egli infatti, riferendosi al fisico ebreo Einstein, diceva:
La fisica ebraica si può definire meglio e con maggior precisione ricordando l’attività di colui che ne è forse il rappresentante più illustre, l’ebreo purosangue Albert Einstein. Si è ritenuto che la sua teoria della relatività dovesse trasformare l’intera fisica, ma è crollata non appena messa a confronto con la realtà. Al contrario dello scienziato ariano, animato da un solerte e inflessibile desiderio di verità, è sorprendente fino a che punto manchi all’ebreo ogni comprensione della verità.
Come se non bastasse, egli affermava che la scienza non fosse internazionale, bensì, come tutte le cose umane, dipendesse dalla razza e dal sangue.
Se da un lato i tedeschi organizzavano le università in base al principio del capo assoluto (Führerprinzip), dall’altro gli scienziati ebrei e, più in generale, i dissidenti, emigrano dall’Italia e dalla Germania verso gli USA, andando a formare il nucleo del progetto Manhattan. È il caso di Albert Einstein (che non partecipò tuttavia al progetto nucleare), che lascia la Germania nel 1932, prima dell’escalation. Si pensi anche a Enrico Fermi, sposato con un’ebrea, a Emilio Segrè, a John von Neumann e a Fritz Haber.
Il caso volle che furono proprio gli “scarti” della scienza nazifascista a completare per primi il prototipo della bomba atomica, quando invece, a detta di Lenard, la scienza doveva essere appannaggio solo degli ariani. La disfatta tedesca non avvenne di certo grazie al nucleare, che fu adoperato solo in territorio giapponese, ma questo fu comunque il colpo di grazia alla follia della scienza filonazista. Quando appresero la notizia del bombardamento su Hiroshima e Nagasaki, i fisici tedeschi rimasero di stucco, poiché mai avrebbero creduto che i rivali fossero molto più avanti di loro.
La storia della scienza della prima metà del Novecento è caratterizzata da molte ombre e poche luci. Gli eruditi, i ricercatori e gli scienziati persero letteralmente il senno, sposando teorie etico-politiche razziste, che nulla avevano a che fare con il loro lavoro, che avrebbe dovuto essere ben più nobile. La Giornata della Memoria ci ricorda anche questo: occorre conoscere la storia per non ripetere più gli stessi errori, cercando sempre di più uno spirito di collaborazione e condivisione, importantissimo nell’ambito che ci sta più a cuore. Quello della ricerca scientifica.