Sviluppati dal plasma dei guariti, gli anticorpi monoclonali possono rappresentare una valida svolta alla lotta contro il coronavirus. Ma attenzione, il loro utilizzo non può di certo sostituire il vaccino, somministrato invece a scopo preventivo
Già qualche mese fa, svariate sono state le notizie che si sono susseguite in merito ad una messa a punto di ricerce mirate allo sviluppo di anticorpi monoclonali.
All’interno del sangue dei guariti, infatti, sono presenti i linfociti B, che producono specifici anticorpi contro il Sars-CoV-2. Già la cura con il plasma ha dato i suoi risvolti positivi, ed ora si studia ad una terapia ancora più efficace per stimolare il sistema immunitario a contrastare il coronavirus.
Un gruppo italiano, di cui fanno parte la Fondazione Toscana Life Science e lo Spallanzani di Roma, è guidato dal microbiologo Rino Rappuoli ed è attivo in questa ricerca già da diversi mesi.
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“Abbiamo isolato le cellule B dai convalescenti e raccolto gli anticorpi monoclonali contro il Sars-Cov-2. Poi li abbiamo testati contro il virus vivo e abbiamo osservato, per ora in vitro, che 17 anticorpi sono riusciti a neutralizzare il nuovo coronavirus. Il risultato è sicuramente buono e promettente” ha dichiarato la ricercatrice Claudia Sala, che lavora proprio nel laboratorio di Fondazione Toscana Life Science.
L’obiettivo è quello di ottenere un trattamento con anticorpi monoclonali contro il coronavirus entro massimo un anno e mezzo, sfruttando la possibilità di poter replicare tali anticorpi artificilamente in laboratorio senza doverli per forza prelevare dal sangue dei guariti (il processo è oneroso, e non sempre si registra successo).
Si studia anche a questo: in particolare, date le tempistiche di un eventuale vaccino, si sta approcciando all’idea di poter, oltre che curare i guariti con anticorpi monoclonali, sfruttare questi ultimi per proteggere coloro che sono in prima linea contro il virus (personale medico-sanitario) o categorie particolarmente a rischio.
Tra i vari studi condotti, tre sono le molecole principali che sembrano poter dare riscontri positivi; questo perchè durante le varie sperimentazioni, finora avvenute sui topi, sembrerebbe vi sia stata una forte neutralizzazione dell’agente patogeno che causa il coronavirus.
Si lavora quindi alla sperimentazione di anticorpi monoclonali coinvolgendo risultati provenienti da vari esperimenti (si cita a titolo di esempio l’Università di Utrecht, che ha individuato una molecola che ); l’Italia in particolare, che lavora non solo con il gruppo di cui sopra ma anche in altri laboratori presenti nel nostro territorio, sta ideando uno studio clinico insieme a Canada e India ed è già in preparazione di un dossier da presentare all’Aifa (Agenzia italiana del farmaco).
Il vantaggio di sviluppare una tale terapia, che, ricordiamo, non andrebbe in alcun modo a sostituire l’efficacia preventiva di un vaccino, è osservabile da molteplici punti di vista: in primis, si tratta di una terapia “completamente umana”, e questo implica sicuramente una sensibile riduzione degli effetti collaterali. Inoltre, lo sviluppo di questi anticorpi monoclonali sarebbe molto utile a combattere altri sarbecovirus, ci cui fanno parte la Mers, il nuovocoronavirus, e altre evoluzioni future.