Articolo a cura di Luca Carrarini
Il peperoncino appartiene alla stessa famiglia dei peperoni ma, a differenza di questi, produce una sostanza chiamata capseicina che stimola i termorecettori della bocca. Questi vengono attivati quando la temperatura supera i 43°C (per esempio quando bevete il caffè bollente, sentite dolore perché i recettori mandano un segnale di dolore al cervello). Quindi, quando mangiamo un peperoncino, ci sembra che la bocca vada a fuoco perché è effettivamente quello che il nostro cervello sta percependo e non è nient’ altro che un inganno messo in campo dal peperoncino nei confronti di chiunque provi a mangiarlo. In natura, questo, è un meccanismo di difesa contro gli animali erbivori, proprio come le spine per il cactus. Gli unici a non essere sensibili alla capseicina sono gli uccelli che garantiscono la distribuzione dei semi e la nascita di nuove piante.
Il primo che si pose il problema di misurare in modo scientifico la piccantezza del peperoncino, fu il chimico Wilbur Scoville che istituì una scala empirica di bruciore causato dalla capseicina. Il metodo che propose è il seguente: una volta fissato il massimo a 16milioni di gradi Scoville, ovvero il livello di diluizione necessario per far perdere la piccantezza alla capseicina in purezza, faceva assaggiare ad un gruppo di persone l’estratto di peperoncino in diverse diluizioni ed in base alle risposte fissava un valore. Oggi, l’analisi della piccantezza viene condotta con metodi molto più sofisticati, misurando direttamente la quantità di capseicina presente nel peperoncino ma l’unità di misura è rimasta lo Scoville.
La prima cosa che ci viene in mente per placare la sensazione di bruciore è bere un bel bicchiere di acqua fresca. Questo però non ci aiuterà in alcun modo perché la capseicina non è solubile in acqua fredda. L’ideale in questi casi sarebbe del formaggio perché contiene caseina, la quale, legandosi alla capseicina, la neutralizza. Per gli intolleranti al lattosio un’ottima alternativa è il pane che, sfregando contro la lingua, rimuove la sostanza.
Se la piccantezza del peperoncino è un meccanismo di difesa, sembra che con gli uomini abbia fallito infatti proprio la caratteristica piccantezza stimola la voglia di mangiarlo. Alcuni studi sembrano aver trovato una correlazione tra chi ama il piccante e le attività adrenaliniche. Altri suppongono che amare il piccante possa essere collegato a qualcosa di genetico. Dunque, ad oggi, perché si desideri mangiare piccante rimane un mistero. Inoltre molti pensano che mangiando spesso piccante si senta sempre meno dolore, ma non è così. Ciò che cambia è la resistenza, ma il dolore rimane lo stesso.
Dagli anni novanta é nata una vera e propria competizione tra coltivatori per produrre il peperoncino più piccante. L’attuale ufficiale detentore del record è il Carolina Reaper che è talmente piccante da provocare sensazione di bruciore anche se solamente toccato.
Per avere un’idea della piccantezza di alcuni tra i più famosi peperoncini riportiamo il valore di piccantezza espressi in SHU (Scoville Heat Units ):
Jalapeño: 5000-15000;
Calabrese: 15000-30000;
Habanero: 100000-350000;
Carolina Reaper: 2000000 (attuale detentore del guinness world record);
Dragon’s Breathe: 2483584-2723058 (record non riconosciuto ufficialmente);
Pepper X: 3180000 (record non riconosciuto ufficialmente);
Spray al peperoncino: 2500000-5300000 (in dotazione alle forze dell’ordine).