Siamo in Africa meridionale, nord del Botswana, delta del fiume Okwango. Dall’inizio dell’estate, quì vengono ripetutamente trovate carcasse di elefanti, apparentemente senza motivo. L’ultimo episodio, risalente al mese corrente, si è verificato invece nell’attiguo Zimbabwe. Attualmente si contano più di 300 pachidermi deceduti.
A partire dal mese di luglio le autorità hanno avviato un attento lavoro di campionatura sulle carcasse degli elefanti, mobilitando mezzi speciali e professionisti. Dalle analisi sugli corpi dei pachidermi, sono emersi dati che pare confermino l’intossicazione da cianobatteri. Si tratta dunque di microrganismi presenti nell’acqua in determinate condizioni ambientali. Gli elefanti avrebbero bevuto l’acqua infetta, andando incontro ad una fatale intossicazione alimentare.
La vicenda comunque non è limpida, e gli accertamenti proseguono. I principali dubbi ruotano attorno al fatto che sicuramente anche altri animali avranno bevuto dalla stessa pozza degli elefanti, tuttavia non sono state trovate carcasse diverse. Biologi e veterinari, continuano a campionare e testare, ma per il momento non vi è ancora nessuna certezza assoluta. Dal lavoro svolto fin ora, sembrerebbe si tratti di neurotossine sprigionate da cianobatteri proliferati nell’acqua dove gli animali si abbeveravano. L’ipotesi è concreta, ma fa riferimento a particolari condizioni. Approfondiamo dunque il caso.
I cianobatteri sono organismi fotoautotrofi, quindi in grado di compiere la fotosintesi ossigenica. Ciò significa che possono produrre energia direttamente dalla luce solare, senza utilizzare il meccanismo della fotosintesi, a differenza di altre alghe. Il prefisso ciano- deriva dal fatto che alla luce l’acqua dove essi proliferano assume quel tipico colore. Ne esistono diversi tipi, di forme e dimensioni anche molto diverse. Sono stati rinvenuti cianobatteri unicellulari con diametro di 0,2 μm, ma anche forme filamentose che toccano i 200 μm di lunghezza e via dicendo. In più, si tratta di procarioti, ma con alcune caratteristiche eucarioriche. Per questi ed altri motivi, è sempre stato complesso classificarli. La divisione Cyanobacteria, attualmente comprende oltre 2000 specie di eubatteri gram negativi, a loro volta divise in 5 ordini. Da sottolineare come in caso di necessità, i cianobatteri possano svolgere fotosintesi anossigenica e respirazione anaerobica, consumando zolfo piuttosto che ossigeno.
Data la loro varietà ed adattabilità, i cianobatteri sono individuabili in numerosissimi ambienti del nostro pianeta. La maggioranza di essi si trova sul suolo ed in acque dolci, ma colonizzano anche deserti e ghiacciai, oltre che barriere coralline, rocce carbonatiche, alghe e ambienti ipersalini, con una predilezione per le acque a pH leggermente acido. Oltre all’adattabilità nei confronti del substrato, questi microrganismi sono anche tolleranti alle diverse intensità luminose, alle radiazioni UV etc. Sono altresì in grado di fissare l’azoto atmosferico. È quindi facile comprendere come i cianobatteri possano essere classificati come ubiquitari ( cioè possono essere pionieri).
È noto come alcuni cianobatteri possano interferire negativamente con la sopravvivenza di forme di vita elaborate, poiché rilasciano cianotossine durante determinate fioriture. Vista la loro predilezione per le acque arricchite di derivati fosfati o azotati, è facile trovarli in concomitanza di scarichi industriali o agricoli. Sono facilmente riconoscibili poiché in condizioni favorevoli, formano tappeti verdi -da quì il soprannome di alghe verdi-azzurre- detti bloom, fioriture.
I cianobatteri, non sono sempre dannosi per gli altri organismi viventi, anzi. Questi procarioti sono fondamentali negli ecosistemi delle acque superficiali, in quanto contribuiscono alla fissazione dell’azoto atmosferico. In più, quello dei potenziali impieghi di questi microorganismi è un mondo per buona parte ancora inesplorato. Si sta cominciando solo di recente, a cogliere l’importanza che potrebbero avere nel settore farmaceutico, se compresi maggiormente. Vi sono poi numerosi altri campi di applicazione per i cianobatteri, addirittura l’edilizia. Alcuni di questi microrganismi, sono anche commestibili. La famosa alga spirulina ad esempio, rientra ufficialmente nei cianobatteri.
Il problema sanitario è dovuto perlopiù all’eutrofizzazione dei corpi idrici, che aumenta notevolmente la loro concentrazione, portando alle cosiddette fioriture. Infatti, i bloom, sono in grado di produrre cianotossine alle quali è facile essere esposti. Oltre all’elevato apporto di fosforo e azoto causato dall’eutrofizzazione, vi sono altri fattori concorrenti alla proliferazione. Ad esempio le colonne d’acqua degli scarichi che favoriscono il rimescolamento della stessa, le basse pressioni, le temperature comprese fra i 10 e i 30 gradi Celsius etc. Il problema risiede nel fatto che le fioriture, possono essere tossiche come possono non esserlo, ed è complesso effettuare previsioni. L’unico dato certo è che in presenza di fioritura, i cianobatteri possono rappresentare un pericolo consistente per molti esseri viventi, umani compresi, e in questo caso pare abbiano significativamente colpito una popolazione di elefanti africani.
La situazione attuale per questi animali, come per tanti altri, non è rosea. Per quanto riguarda gli elefanti africani, attualmente ne sono stati censiti 415mila. Ne vengono uccisi -illegalmente- 20mila all’anno, e dal 2006, abbiamo perso 12 popolazioni. Nel periodo 2006-2015 ben 111mila elefanti si sono spenti. Tuttavia, grazie al lavoro di rangers, autoctoni e scienziati in Kenya, Uganda, Rwanda e nella zona meridionale del continente nero, il numero di esemplari è in crescita. Lo status dell’elefante africano resta comunque “vulnerabile”, mentre quello dell’elefante asiatico si identifica in “in pericolo”.
Per quanto riguarda la loro distribuzione territoriale, il 70% degli elefanti africani vive nell’Africa Meridionale, quindi 293mila esemplari. 86mila elefanti risiedono invece nella porzione orientale del continente africano, e 24mila in quella centrale. In ultimo, 11mila elefanti vivono nell’Africa occidentale. In particolare, il Botswana ospita il maggior numero di elefanti del globo. Si parla di circa 130mila esemplari nel solo stato in questione.
Per semplicità, delle 3 principali specie di elefanti esistenti, in questa breve trattazione discuteremo solo di quella africana. L’elefante, loxodonta africana, vive sul nostro pianeta da ben 5 milioni di anni, che facendo riferimento a Lucy, è circa il doppio del nostro tempo sulla Terra. Gli elefanti sono i pu grandi mammiferi terrestri esistenti, e globalmente sono inferiori per stazza solo ad alcuni mammiferi marini. Parlando appunto di dimensioni, l’elefante africano della savana -esiste anche quello “delle foreste”- arriva a misurare ben 7m di lunghezza, 4m al garrese, per un peso di ben 7 tonnellate. A dispetto della loro mole, sono in grado di passare dalla velocità di crociera di 5/6km/h, ai 40km/h in caso di necessità. Tuttavia non possono effettuare salti o balzi, anche a causa della conformazione delle zampe.
Sebbene sia diffusa l’idea opposta, gli elefanti presentano una pelle discretamente sensibile e non troppo coriacea. Lo spessore massimo si attesta sui 3/4cm, ma viene raggiunto solo in porzioni di corpo come proboscide, arti e posteriore. Per il resto l’epidermide del pachiderma è ricca di terminazioni nervose, e non particolarmente spessa. Dunque è in grado di percepire anche il minimo tocco: un elefante può accorgersi se una mosca gli si posa sopra.
Si tratta poi di animali piuttosto longevi, che non di rado sopravvivono più di 50 anni. In realtà, realtà, la loro morte, se naturale, è subordinata esclusivamente alla perdita degli ultimi denti, il che determina l’impossibilità di continuare a nutrirsi.
A proposito di nutrirsi, gli elefanti sono chiaramente erbivori, ma ingurgitano in media 200kg di vegetali/die, impiegando nell’alimentazione 15-16h/die. Tuttavia, per motivi ancora sconosciuti, digeriscono solo il 40% di ciò che ingeriscono. Il tutto viene accompagnato da discrete quantità di acqua: gli elefanti possono berne fino a 15l per volta. Come ben sappiamo, questi animali fanno ampio uso della proboscide, organo caratteristico provvisto di più di 100mila muscoli differenti. Essa svolge o coadiuva numerose funzioni. È utile dalla toeletta alla respirazione subacquea, dal riconoscere oggetti/forme di vita al raggiungere cibo e acqua, fino al difendersi ed al comunicare con altri elefanti.
I gruppi di elefanti sono perlopiù composti da esemplari femmina. Questi animali infatti vivono in società matriarcali, dove i maschi si separano dalla mandria di nascita in età adolescenziale, per poi vivere in piccoli gruppi autonomi. Le cure parentali sono dunque affidate alla madre, che partorisce un cucciolo per volta, dopo una gestazione di 20-22 mesi -la più lunga tra tutti i mammiferi– partorisce un solo cucciolo. Rarissimi, ma possibili, sono i parti gemellari.
È interessante sapere che in caso che un cucciolo rimanga orfano, è praticamente scontato che riesca ad essere adottato da un’altra femmina. Di norma si tratta della sorella maggiore, ma il cucciolo può facilmente essere accolto addirittura in branchi diversi da quello di nascita. Questa forma di “mutuo soccorso” si verifica anche in caso che un membro del branco sia in difficoltà. In tal caso infatti, tutto il gruppo si arresta per aiutarlo.
Se l’essere umano vanta una quantità di neuroni oscillante fra 22mila e 100mila milioni di neuroni, nell’encefalo degli elefanti se ne contano circa 257mila milioni. Effettivamente il cliché della memoria prodigiosa non è solo un mito. Gli elefanti sono in grado di ricordare contemporaneamente la posizione di 30 membri del branco, nonché i percorsi più brevi per arrivare alle pozze d’acqua.
Dal dipartimento di biologia dell’Università di Turku, in Finlandia, lo studio che chiarisce come dovrebbe essere strutturata la personalità degli elefanti. Da un campione di oltre 250 esemplari di elefante asiatico, studiati per 3 anni assieme ai loro conducenti, i mahaut, con cui hanno un rapporto molto stretto, sono emersi 3 tratti distintivi.
Come possiamo vedere dalla mappa il traffico di parti anatomiche degli elefanti è tutt’oggi molto attivo, seppur vietato dal 1989. Solo l’anno scorso, l’ONU lanciava l’allarme relativo all’incessante aumentare di questa pratica, con conseguente rischio estinzione per i pachidermi. Considerando che solo un secolo fa in Africa vi erano 12 milioni di elefanti, mentre oggi se ne contano 400mila, la situazione è abbastanza tragica. L’allarme ONU è frutto dei rapporti CITES (Organismo che si occupa del commercio internazionale delle specie di flora e fauna minacciate di estinzione). La diminuzione del numero degli esemplari si attesta sull’8% annuo, che non potrà mai essere compensata dal tasso di natalità normale. Purtroppo oltre ai committenti europei e alla restrizione dell’habitat, anche alcuni paesi africani ostacolano la sopravvivenza degli elefanti. Infatti, Namibia, Zimbabwe e Botswana, sarebbero favorevoli alla riapertura della caccia di questi docili pachidermi. Chiaramente se si continuasse di questo passo, gli elefanti sarebbero destinati all’estinzione certa.