Avete mai notato che i cani tendono a fare i loro bisogni orientati sempre nella stessa direzione? Ecco, un gruppo di ricercatori provenienti da Germania e Repubblica Ceca lo ha fatto, e da veri scienziati, per due anni, hanno osservato 70 cani di 37 razze differenti, registrando la loro posizione quando si fermavano per fare i bisogni. La conclusione di questo bizzarro esperimento è stata sorprendente, la quasi totalità dei cani fa i propri bisogni guardando a nord. Se avete sorriso leggendo queste poche righe è perfettamente normale, così come è normale riflettere sulla formidabile capacità dei cani ritrovare la via di casa anche su grandi distanze. Ecco, sorridere e poi riflettere, è questo il motto del premio Ig Nobel, un riconoscimento satirico che viene assegnato ogni anno a partire dal 1991 e, nel 2014, lo studio sui cani si è aggiudicato il premio nella sezione biologia.
Lo scopo di questo riconoscimento è premiare ricerche insolite e strane che possano stimolare l’interesse e la curiosità del pubblico verso la scienza e la tecnologia. Nonostante lo spirito satirico, la quasi totalità delle ricerche è stata eseguita con grande rigore da stimati scienziati. Un esempio lampante è dato da Andrej Gejm, vincitore del premio Ig Nobel nel 2000 per aver fatto levitare una rana in un campo magnetico, e del premio Nobel nel 2010 per i suoi studi sul grafene. A differenza dei Nobel le categorie non sono fisse, ogni anno vengono assegnati 10 premi in categorie che vanno dalle classiche fisica e medicina, fino a management, psicologia, scienza dei materiali, ecc. La cerimonia, celebrata ogni anno alla prestigiosa Università di Harvard, è un concentrato di ironia e assurdità a cui prendono parte diversi premi Nobel.
La storia dietro questa ricerca è quantomeno curiosa, quindi le premesse per un Ig Nobel ci sono tutte. In un libro pubblicato nel 1998 si fa riferimento alla storia di un anziano Inuit che si rifiutò di trasferirsi in un insediamento abitato. I familiari, pur di convincerlo a lasciare la natura selvaggia, gli sottrassero tutti i suoi strumenti ma l’uomo, estremamente determinato, riuscì a costruirsi un coltello a partire dalle sue feci congelate. Grazie ad esso potè cacciare, scuoiare un animale e provvedere al suo sostentamento. Questa storia è diventata poi famosa in nord America ed è stata raccontata in libri, trasmissioni televisive, su internet e perfino in documentari.
A distanza anni, un gruppo di scienziati inglesi e americani ha deciso di portare il metodo scientifico in terreni inesplorati pur di accertare la veridicità di questa storia. Metin Eren, il primo autore dello studio, si è sacrificato per la scienza assumendo per otto giorni una dieta simile a quella degli Inuit, ricca sia in proteine che in grassi. Dal quarto all’ottavo giorno, tutta la sua “produzione” è stata dedicata a forgiare coltelli con le proprie feci sia utilizzando stampi, sia a mano. I coltelli sono stati poi congelati e utilizzati per tagliare muscoli, pelle e tendini di maiale. Il tutto con l’approvazione ufficiale del comitato di biosicurezza dell’Università del Kent.
Il risultato è stato deludente in quanto i coltelli semplicemente si scioglievano al contatto con la pelle di maiale. Tuttavia, gli scienziati non si sono fermati e un altro membro del team, Michelle Bebber, ha “prodotto” i propri coltelli basandosi su una dieta più tipicamente occidentale, fallendo nuovamente e giungendo alla conclusione che i coltelli fatti di feci congelate non funzionano. Tra i materiali extra dell’articolo è presente un’accurata documentazione fotografica degli esperimenti, con anche le diete che i due scienziati hanno seguito per produrre i loro coltelli, casomai qualcuno abbia voglia di replicare i loro esperimenti.
Nelle conclusioni dell’articolo, gli scienziati danno anche uno stimolo a chi abbia voglia di portare la conoscenza scientifica un po’ più in là. Nella storia originale, infatti, si menziona che l’anziano Inuit rese il coltello affilato usando la sua saliva, una cosa che i ricercatori non si sono sentiti di fare. Chiunque abbia voglia di candidarsi al prossimo premio Ig Nobel non deve fare altro che seguire la strada indicata da Metin e colleghi.
Articolo a cura di Davide Montesarchio