Covid-19 : come Giappone, Australia e Sud Corea piegano il virus
Se in Italia e più in generale in tutta l’Europa Occidentale, la pandemia da Covid-19 non accenna ad arrestarsi, in molti Paesi dell’Estremo Oriente la situazione appare molto diversa. Giappone, Taiwan, Thailandia, Corea del Sud e Nuova Zelanda sono solo alcune delle nazioni che non stanno riscontrando gravi impedimenti a causa del virus. A questi si aggiunge ora anche l’Australia, che precedentemente rientrava nei Paesi più in difficoltà nella lotta al Covid-19. Vediamo in che misura queste statistiche siano affidabili e soprattutto che cosa le determina.
I dati Covid-19 del virtuosismo asiatico, affidabilità e omogeneità
Per quanto riguarda l’affidabilità dei dati relativi ai contagi da Covid-19, si rende necessario tener conto dell’approccio che alcuni Paesi orientali adottano verso trasparenza, privacy e controllo sociale, molto diverso da quello della maggioranza degli stati europei. Ad ogni modo, nazioni con politiche meno dissimili dalle nostre, sembrano confermare un trend contagi in netta discesa. OMS e Ecdc – European Centre for Disease Prevention and Control – hanno rilevato forbici importanti tra statistiche europee ed orientali. Se Tokyo segnala infatti meno di 700 casi al giorno, Seul ne conta appena 61. La Cina invece, al netto dei 4700 decessi nell’arco dell’intera pandemia, ad oggi dichiara solamente 22 casi giornalieri. Thailandia, Australia e Nuova Zelanda scendono addirittura sotto i 10 casi giornalieri, assenti i decessi.
Ovviamente tutto ciò è riconducibile a determinate politiche adottate ai danni del Covid-19. Infatti, la situazione non è certo uniforme in tutto il continente asiatico. Indonesia, India, Bangladesh e Malesia, sono alcuni dei paesi in cui la situazione appare molto più critica e poco dissimile da quella europea.
Giappone, tracciamento serrato e intelligenza artificiale
Prendendo in esame il Giappone, le autorità ed i cittadini assegnano gran parte del merito del successo contro il Covid-19 alle mascherine. È ben noto come la popolazione giapponese già prima della pandemia corrente era sensibilmente propensa all’utilizzo quotidiano delle mascherine. Oltre a questo, come dichiarato dal ministro giapponese per l’emergenza Covid-19, Yosutoshi Nishimura, la nozione di cluster di trasmissione ha avuto importanza fondamentale. Ciò si traduce nell’isolamento tempestivo dei piccoli e -inizialmente- pochi gruppi di positivi, portatori di indici di contagiosità molto importanti.
Di seguito all’isolamento tempestivo dei positivi, le autorità giapponesi hanno impiegato massicciamente tracciamento e mappatura dei dati disponibili. Il tracciamento retrospettivo, volto a ricostruire lo storico dei contatti dei positivi anche precedentemente al contagio, ha dunque permesso di controllare la diffusione del Covid-19. Le normali fallanze di questo sistema, sono poi state appianate con regole volte a limitare le situazioni ad alto rischio. Fra queste, l’affollamento in spazi sia chiusi che aperti e i contatti ravvicinati fra cittadini.
In entrambe le fasi di contenimento sono state ampiamente impiegate tecnologie informatiche avanzate ed intelligenza artificiale, come spesso accade in Giappone. Tali mezzi si sono rivelati fondamentali anche nella messa in campo di test rapidi salivari. In seguito, tecnologie affini, sono state utilizzate anche nella fase di smartworking. Si è così chiuso il ciclo, evitando situazioni di affollamento nei mezzi pubblici giapponesi. Le statistiche ad oggi ci rimandano però a solo un 20% dei contribuenti in smartworking. Infine, vi è un piano a lungo termine che dovrebbe consentire di prolungarsi di questa situazione di relativa tranquillità. Una delle misure disposte in questo senso riguarda il prolungamento delle ferie di Capodanno per i cittadini, così da evitare situazioni di affollamento fino al normale ristabilirsi delle attività lavorative.
Sud Corea, digitalizzazione e big data
La Corea del Sud, già reduce dall’epidemia di Mers del 2015, ha invece optato per metodi più invasivi nella lotta contro il Covid-19. Anche a fronte di una situazione iniziale molto critica, si e fatto ricorso ad un massiccio tracciamento della popolazione tramite smartphone, carte di credito e videocamere pubbliche. La situazione, è dunque passata dall’essere al limite del controllabile nelle aree di Seul e Daegu, al risultare neanche preoccupante in tutto il paese, grazie all’impiego di una sorta di pesca a strascico di dati personali e non dei cittadini. Il tutto era già stato presentato ai tempi dell’epidemia di Mers appunto, con riforme apposite volte a legalizzare l’intervento – invasivo – dello Stato a scapito della privacy del singolo, in situazioni reputate di necessità.
Australia, 100 giorni di isolamento contro il Covid-19
Anche l’Australia, pur proveniendo da una situazione abbastanza critica, risulta ora uno dei Paesi meno intaccati dalla pandemia di Covid-19. Per via della distibuzione demografica in rapporto al territorio, l’Australia ha sempre accusato una situazione contagi a macchia di leopardo. Le criticità maggiori si sono registrate nell’intorno di Melbourne, dove a luglio, si registrava il 90% dei decessi nazionali da Covid-19. A queste condizioni, le autorità hanno disposto lockdown localizzati nelle zone che destavano maggiori preoccupazioni. Melbourne è stata così isolata totalmente dal resto dello stato, per ben 112 giorni. Interventi mirati e di impatto notevole di questo tipo hanno dunque ostacolato il diffondersi del Covid-19 nell’isola, tanto che ad oggi, con il supporto di controlli ferrei, il Paese può considerarsi stabile per quanto riguarda l’epidemia. Sono però ancora da valutare le conseguenze sociologiche di un un’isolamento tanto prolungato sulle persone.