“Da grandi processi derivano grandi pericoli”, questa potrebbe essere una legge empirica da tenere a mente quando si ha intenzione di svolgere una trasformazione chimica su larga scala. È diventato, purtroppo, comune sentire di incidenti legati ad esplosioni che avvengono nei vari impianti industriali sparsi sulla terra. Come mai, nonostante i grandi passi avanti degli ultimi anni, questo genere di eventi continua ad avvenire? Nonostante molti processi vengano condotti da anni, creando dunque l’illusione di sapere tutto ciò che può accadere cambiando qualcosa, spesso basta una lieve variazione o una semplice disattenzione per generare grandi danni all’ambiente e alle persone. Attualmente, cosa sappiamo sulle cause che scatenano un’esplosione? Quello che siamo stati in grado di ricavare dai principali eventi del passato sono una serie di elementi comuni che ci permettono di identificare una buona parte dei casi in una classe di reazioni dette “Runaway”.
Molte delle leggi attualmente in vigore sono state emanate come conseguenza di grossi disastri poiché ci si era resi conto che una serie di procedure che venivano adottate non erano sicure e avrebbero potuto determinare una fonte di rischio futuro. Tra gli eventi storici più significativi ricordiamo il “disastro di Bhopal” avvenne il 3 dicembre 1984 nella sede indiana della “Union Carbide”. Per poter capire l’entità di quest’incidente, si consideri che vennero coinvolte oltre 500.000 persone di cui circa 3900 risultarono permanentemente invalide. Ma, com’è potuto avvenire un disastro di tali proporzioni?
Al tempo del disastro, l’impianto non lavorava più a pieno regime ed erano stati fatti vari tagli riguardo la sicurezza. Erano presenti circa 63 tonnellate di isocianato di metile nei tre serbatoi sotterranei e sia i sistemi di refrigerazione che le torce (le quali avrebbero dovuto prevenire la fuoriuscita di sostanze tossiche) erano fuori funzione. Ciò che innescò una serie di reazioni a catena furono alcune infiltrazioni d’acqua che, reagendo con l’isocianato di metile, generarono dei gas sotto pressione. Raggiunto un certo valore limite, i dischi di rottura che erano presenti rilasciarono tutti i prodotti in atmosfera.
insieme a questa serie di eventi, le condizioni climatiche di quel momento permisero ai gas di depositarsi (essendo essi più densi dell’aria) e di dirigersi verso le aree urbane circostanti. Quanto accaduto ci farebbe pensare in prima istanza che forse, per evitare conseguenze del genere, sarebbe bastato mantenere l’impianto in funzione in modo da evitare le infiltrazioni o che i dispositivi di protezione fossero spenti.
Purtroppo non è così e possiamo considerare come esempio un incidente accaduto in Italia, che colpì in particolare la città di Seveso. Questo incidente è stato a tal punto disastroso da generare una serie di leggi che prendono il nome di “direttiva Seveso”. Il giorno sabato 10 Luglio 1976, alla fine dell’ultimo turno lavorativo, il sistema di controllo automatico della temperatura di un reattore adibito alla produzione di triclorofenolo andò in avaria con un conseguente innalzamento della temperatura all’interno del reattore. L’aumento della temperatura favorì la formazione di gas sotto pressione.
L’unico motivo per cui il reattore non esplose era la presenza di alcune valvole meccaniche che, superata una certa soglia limite, si sarebbero aperte rilasciando il contenuto ed evitando una esplosione meccanica. Nonostante quest’evento possa apparire un successo, dato che si era evitata un’esplosione il rilascio dei gas in atmosfera, ebbe in realtà delle gravi conseguenze. La temperatura elevata permise, infatti, il verificarsi di una reazione che portò alla formazione di TCDD, meglio noto come “diossina” (un composto estremamente tossico per l’uomo e l’ambiente).
Le conseguenze di quanto sopra furono che, a causa dell’elevata presenza di sostanze tossiche, oltre 600 persone furono sfollate e circa 240 persone vennero colpite da una forma di irritazione cutanea dovuta all’esposizione alla diossina. Come si può capire da questi esempi, le conseguenze di un errore industriale possono essere gravi e coinvolgere intere comunità, né è un esempio anche il recente incidente di Beirut per il quale si sospetta un coinvolgimento del nitrato d’ammonio.
Proviamo a riflettere insieme. Questi eventi sono stati innescati dalla mancanza di controllo su una certa reazione chimica: potrebbe essere dovuto ad un liquido di raffreddamento non circolante o un reagente inviato in eccesso, fatto sta che una prima fonte di innesco è presente nei dispositivi di controllo non adeguatamente funzionanti. Possiamo notare, inoltre, che le esplosioni sono avvenute una volta superata una certa pressione massima oltre la quale la struttura dei contenitori cedeva e ne liberava il contenuto. L’aumento della pressione, inoltre, era conseguenza di un incremento della temperatura dei componenti.
Questo genere di ragionamenti possono essere classificati sotto il nome di “processi runaway”. Vediamo in cosa consistono: immaginiamo di avere un contenitore in cui avviene una reazione esotermica (ossia che libera calore), conduciamo il tutto ad una certa temperatura e, per mantenerla costante, usiamo un sistema di raffreddamento. Improvvisamente, il sistema di raffreddamento si guasta e come conseguenza non riusciamo ad asportare più calore dal nostro reattore, questo fa si che la temperatura interna del sistema aumenti. Una temperatura più alta influisce sulla velocità di reazione che aumenterà di anch’essa e, conseguentemente, il calore generato ogni secondo dalla reazione aumenterà.
Ci troviamo davanti quindi ad un processo che si autoalimenta: il calore fa aumentare la temperatura, che fa aumentare la cinetica, che aumenta il calore prodotto al secondo.
La temperatura, a sua volta, tende ad aumentare la pressione dei gas presenti nel reattore ed a questo punto il gioco è fatto. Orologio alla mano e prima o poi il vostro sistema darà luogo ad un’esplosione.
Ovviamente, il campo delle esplosioni comprende molti altri processi oltre quelli di tipo “runaway”. Basti pensare alle detonazioni, le esplosioni di polveri e la combustione di liquidi.
Se c’è una lezione che possiamo trarre da questi esempi, però, è che la prudenza non è mai troppa e , specialmente quando stiamo trattando processi chimici, bisogna essere sempre in grado di chiedersi: “Quali conseguenze avrà cambiare questo parametro? Potrebbe essere pericoloso?”. Un atteggiamento di cautela, infatti, è una prima fonte di prevenzione per ogni possibile pericolo.
Articolo a cura di Carmine Schiavone.