Molto spesso sentiamo parlare di teoria della relatività, di contrazione dello spazio e dilatazione del tempo, senza capire fino in fondo di che cosa si sta parlando. In effetti, alla luce dell’esperienza quotidiana, i concetti introdotti più di un secolo fa da Albert Einstein sono decisamente controintuitivi. Come è possibile che tempo e spazio non siano concetti assoluti?
Per comprendere meglio la relatività ristretta, bisogna avere bene in mente il principio di relatività galileiana. Esso è il fondamento della meccanica classica che ha a che fare con sistemi di riferimento inerziali, ovvero non accelerati. Tale principio asserisce che le leggi della meccanica hanno la stessa forma in qualsiasi sistema di riferimento inerziale. Ne deriva che un osservatore, chiuso nel proprio sistema di riferimento, non ha alcun modo di sapere se egli si sta muovendo oppure se è fermo.
Una volta enunciato, il principio di relatività galileiana sembra più un “principio di assolutezza”. Infatti, ci dice che le leggi della fisica non variano se cambiamo il nostro sistema di riferimento, e quindi non sono relative al sistema dal quale l’osservatore scruta il mondo.
Per verificare che una legge fisica verifichi il principio di relatività, essa deve passare al vaglio delle cosiddette trasformazioni di Galilei. Esse non sono nient’altro che delle trasformazioni di coordinate mediante un sistema di equazioni, che ci consentono di passare da un sistema di riferimento ad un altro. Si supponga di avere due sistemi di riferimento, \(S\) ed \(S’\) e sia \(u\) la velocità relativa fra i due. Ai fini del ragionamento, non interessa quale dei due si stia muovendo. Infatti, grazie al principio sopra enunciato, qualsiasi sistema di riferimento inerziale corrisponde ad uno in quiete.
Per visualizzare i due sistemi, si pensi ad \(S\) come solidale ad un osservatore fermo su una banchina e ad \(S’\) come solidale ad un individuo che viaggia su un treno che attraversa la stazione con velocità costante \(u\). Le grandezze cinematiche di interesse sono ovviamente tempo, velocità e spazio. Galileo definì quindi le trasformazioni necessarie per passare da un sistema di riferimento ad un altro: $$\begin{cases} x’ & = x – ut \\ t’ & = t \\ v’ & = v – u. \end{cases}$$ Tali equazioni prendono il nome di trasformazioni galileiane, dal nome dello scienziato pisano che per primo le formulò. L’apetto più interessante, e forse banale per chiunque di noi, è che il tempo nel sistema fisso è lo stesso di quello del sistema in movimento. D’altronde, ciò appare chiaro: il tempo che trascorre per l’uomo sulla banchina, è lo stesso tempo che passa per il suo amico seduto nel vagone del treno.
Beh, in realtà questa affermazione è inesatta. O quantomeno, è del tutto incompleta.
Il fisico scozzese James Clerk Maxwell formulò le equazioni conosciute al giorno d’oggi col suo nome per unificare la teoria dell’elettromagnetismo. Esse mostrano l’interazione fra campo elettrico e magnetico, mostrando come campi elettrici dinamici possano generare campi magnetici e viceversa. Cosa c’entra questo con le teorie galileiane?
Verso la fine del XIX secolo, i due fisici Larmor e Lorentz scoprirono che, sebbene corrette e verificate sperimentalmente, le leggi di Maxwell non erano invarianti rispetto alle trasformazioni galileiane. Significava che tali equazioni, cambiando il sistema di riferimento, mutavano forma. Questo ovviamente contraddiceva il principio di relatività. Tale scoperta sconvolse il mondo della fisica dell’epoca, poiché se l’equazioni di Maxwell non erano invarianti, significava che non rispettavano l’invarianza di tempo e spazio. A quell’epoca, infatti, tempo e spazio continuavano ad essere ritenuti assoluti.
Nel 1897, Lorentz pubblicò un saggio in cui riformulava le trasformazioni galileiane, definendo delle nuove relazioni, dette appunto trasformazioni di Lorentz. Nel corso della sua trattazione, il fisico cercò di sostituire al principio di relatività galileiana il concetto di etere. Egli lo definì come una sorta di sistema di riferimento immobile e immutabile che viene attraversato dalle onde elettromagnetiche. Le trasformazioni di Lorentz sono definite tramite il parametro $$\gamma = \dfrac{1}{\sqrt{1-\frac{v^2}{c^2}}},$$ e sono le seguenti: $$\begin{cases} x’ & = \gamma(x – ut) \\ t’ & = \gamma \Biggl(t – \dfrac{ux}{c^2}\Biggr) \\ v’ & = \dfrac{v – u}{1-\dfrac{uv}{c^2}}. \end{cases}$$
Le trasformazioni di Lorentz costituiscono la pietra miliare della relatitivtà ristretta. Peccato che il fisico olandese, mentre le scriveva, non ne avesse ancora la più pallida idea.
Nel 1905, fu un giovane che lavorava all’ufficio brevetti di Berna a risolvere l’incongruenza, riuscendo a trovare l’anello mancante. Tramite un articolo dal titolo “Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento“, Einstein rivoluzionò il mondo della fisica, segnando il passaggio alla fisica moderna. Egli rivalutò e ampliò le trasformazioni galileiane, utilizzando le trasformazioni di Lorentz. Ma il suo grande contributo fu quello di postulare che in ciascun sistema di riferimento inerziale la velocità della luce è pari a \(c = 300000 \, \text{km/s}\). Tale postulato fu la vera rivoluzione nel mondo della fisica, poiché obbligò a riformulare il concetto di tempo.
A questo punto, vi potrete chiedere perché \(c\) è sempre la stessa. In effetti, questa affermazione viola il buon senso, in quanto, grazie a Galilei, sappiamo che se un sistema si muove rispetto a un altro, la velocità di un raggio di luce sul sistema in movimento, vista da un osservatore fermo, dovrebbe risultare aumentata di un fattore pari alla velocità relativa fra i due sistemi di riferimento. In realtà questo accade in meccanica classica, ma non quando si considerano oggetti che si muovono alla velocità della luce. Scopriamo perché.
La velocità della luce rimane la stessa in tutti i sistemi di riferimento perché altrimenti non sarebbe possibile sincronizzare due orologi tramite segnali d’informazione elettromagnetici. Immaginate il giovane Einstein che si trova a Berna, dotato di un orologio da polso che segna le 12:15. Egli invia un segnale elettromagnetico ad un suo amico che vive a Londra, comunicandogli che a Berna sono le 12:15. L’altro uomo riceve il segnale alle 12:20 e comunica l’informazione tramite medesimo segnale ad Einstein, che lo riceve alle 12:25. Da qui, ben si capisce che i due orologi sono sincronizzati, poiché i due segnali sono dello stesso tipo e hanno viaggiato per lo stesso tempo. Ne segue che per definire il tempo si ha bisogno di postulare l’invarianza di \(c\).
Alla luce delle nuove scoperte di Albert Einstein, qualcuno potrebbe pensare che la teoria formulata da Galileo Galilei sia errata. Niente di più falso. La teoria della relatività ristretta è un’estensione della meccanica classica, quando gli oggetti in movimento si muovono con velocità prossime a quelle della luce. Infatti, la natura controintuitiva della relatività ristretta si basa proprio sull’ordine di grandezza delle velocità in gioco in un determinato processo fisico. Nella nostra vita quotidiana, non verremo mai in contatto con velocità prossime a quelle della luce, nemmeno se siamo i piloti di un jet a reazione. Ciò significa che nell’esperienza giornaliera, la teoria da considerare è quella di Galilei, in quanto si dimostra matematicamente che, a basse velocità, \(\gamma \approx 1\).
Gli scienziati che si devono preoccupare di applicare la relatività ristretta sono i fisici delle particelle e gli astrofisici. Oltre a loro, gli effetti relativistici vengono usati anche da chi si occupa di GPS e sistemi di tracciamento satellitare. Infatti, se non si tenesse conto del fatto che il tempo trascorso sulla Terra non è lo stesso di quello trascorso a bordo di un satellite in orbita LEO intorno al nostro pianeta, la nostra posizione verrebbe sbagliata dal sistema con un errore di oltre 300 metri ogni 24 ore!
Insomma, la relatività ristretta è stata la vera rivoluzione del mondo scientifico agli inizi del Novecento. Einstein ha reinterpretato ed esteso le pietre miliari della fisica classica gettate da Galilei e Newton, attraverso un’intuizione geniale, ma semplice. Il tempo e lo spazio non sono grandezze assolute.