Dal MIT la nuova frontiera dell’ultrablack: la tecnica CNT che oscura Vantablack
Gli ingegneri del MIT annunciano di aver ideato il nuovo materiale più scuro al mondo. Era il 2014 quando dalle pagine della rivista scientifica ACS-Applied Materials and Interfaces, Ben Jensen pubblicava il suo lavoro su Vantablack, l’allora materiale più scuro al mondo, in grado di assorbire il 99,965% della luce incidente. Ad oggi, il primato che prima spettava a Vantablack, se lo aggiudica un nuovo materiale, ben 10 volte più scuro. Quest ultimo, per il momento denominato Blackest black, è costituito da nanotubi in carbonio allineati verticalmente (CNT) come Vantablack, ma cresciuti come fili d’erba su di un foglio di alluminio inciso al cloro. Blackest black è in grado di catturare al minimo il 99,995% di una qualsiasi luce incidente, ingannando la mente con una particolare illusione ottica.
Blackest black, dal MIT la scoperta accidentale
Dal MIT, Brian Wardle e Kehang Cui, riferiscono che non era loro intenzione realizzare il nuovo Vantablack. Il team stava infatti sperimentando la tecnica CNT su materiali conduttori di elettricità, per aumentarne la conducibilità elettrica e termica. Una concettualmente semplice ricerca paragonabile a ciò che i chimici definiscono drogaggio dei semiconduttori. Tuttavia, approcciandosi all’alluminio, gli ingegneri si sono imbattuti in un vincolo. Lo strato di ossido che riveste il metallo qualora lo si esponga all’aria, funge da isolante ed impedisce la conduzione, va perciò rimosso. Uno dei metodi atti alla rimozione dell’ossido, è stato individuato in quel che in gergo è detta incisione.
Tramite l’utilizzo di sale comune, ovvero NaCl, è possibile corrodere superficialmente l’alluminio, asportando lo strato di ossido. Il processo di incisione è comunissimo in natura, per intenderci è ciò che rende le navi sensibili alla corrosione da parte dell’acqua dell’oceano. Si è dunque deciso di procedere immergendo il foglio di alluminio in acqua salata, per poi trasferirlo in ambiente anossico onde evitare la riossidazione. L’alluminio inciso è poi stato posto in forno a circa 100°C, dove si è cercato di stimolare la crescita dei nanotubi in carbonio sulla superficie, mediante il processo deposizione chimica da vapore.
L’esperimento è riuscito: l’alluminio inciso e combinato con CNT risulta un ottimo conduttore di calore ed elettricità, ma non solo. Gli scienziati del MIT sono rimasti impressionati dal colore estremamente scuro del composito ottenuto. Cui ha dunque pensato di misurarne la riflettanza, rimanendo sorpreso dalle proprietà ottiche del materiale. Il lavoro è stato svolto il collaborazione arte-scienza con l’artista Diemut Strebe, e il nuovo processo CNT in attesa di brevetto, è stato reso disponibile a qualsiasi artista lo voglia utilizzare per scopi non commerciali, a differenza di Vantablack.
Le proprietà ottiche di Blackest black
Cui, per analizzare Blackest black, ha misurato la luce riflessa dal materiale da ogni possibile angolazione. Lo studio ha rivelato come il materiale sia in grado di assorbire almeno il 99,995% della luce incidente. Da quì, immediato il confronto con Vantablack e gli altri materiali ultrablack: Blackest black riflette 10 volte meno luce del più scuro di essi. All’occhio umano risulta perciò una sorta di buco nero, anche in caso si stia guardando una porzione di materiale morfologicamente irregolare. Non si è dunque in grado di distinguere alcuna forma osservando ad occhio nudo una superficie Blackest black.
Secondo gli studiosi del MIT, tutto ciò è causato in parte dalle foreste di nanotubi di carbonio, in grado di intrappolare e convertire la maggior parte della luce in calore, e in parte dell’alluminio inciso al cloro e annerito dal trattamento termico. Ad ogni modo, al momento viene a mancare una comprensione meccanicistica del fenomeno. Infatti, le foreste di nanotubi in carbonio sono note per le loro tonalità estremamente scure, ma non è chiaro come queste possano aver interagito con l’alluminio inciso riflettendo ancora meno luce del solito.
Dai laboratori del MIT alle applicazioni tecniche NASA
Oltre al campo artistico, Blackest black trova spazio in numerosi settori scientifici. Un esempio valido è l’impiego del materiale CNT per costruire paraocchi ottici in grado di ridurre l’abbagliamento nei telescopi spaziali, consentendo l’individuazione di esopianeti in orbita. L’astrofisico e premio Nobel John Mather, estraneo alla ricerca, ha cominciato un nuovo studio per utilizzare il nuovo materiale del MIT, come base per una cosiddetta ombra a stella.
Sostanzialmente si tratta di una enorme massa nera volta a schermare un telescopio spaziale dalla luce diffusa, eliminando riflessi indesiderati e permettendo di analizzare al meglio la volta celeste. In questo caso, entrerebbero in gioco non solo le proprietà ottiche di Blackest black, ma anche quelle meccaniche. Infatti, il materiale deve essere sufficientemente compatto e resistente da sopravvivere al lancio in orbita di un razzo. Questo, era sostanzialmente impossibile con le precedenti versioni di ultrablack, assolutamente non in grado di sopportare tali pressioni.
Esistono forme di vita ultrablack in natura?
Durante studi di catalogazione, un team di biologi marini ha scoperto 16 nuove specie di pesci d’altura in grado di assorbire luce al pari del Blackest black del MIT. Durante gli studi subacquei, la biologa marina Karen Osborn ha osservato forme di vita capaci di un tale mimetismo di profondità da non essere riconoscibili in maniera completa.
“È come osservare un buco nero”
Alexander Davis, coautore dello studio e biologo alla Duke Universiy ai microfoni del New York Times
La scoperta ha fatto scalpore poiché fin ora non si sospettava l’esistenza di pesci ultrablack. Gli unici vertebrati conosciuti per questa peculiarità erano alcune specie di volatili, come l’Uccello del Paradiso, ma non vi erano casi di mimetismo. Secondo i biologi, i pesci ultrablack utilizzerebbero questo tipo di camaleontismo sia per procacciarsi il cibo che per sfuggire ai predatori. Per quanto gli abissi marini siano conosciuti per la dilagante oscurità, in essi abbondano le specie di macro e micro-organismi che a tale profondità emanano bioluminescenza.
Ma com’è possibile che questi pesci siano naturalmente così scuri? La risposta risiede in particolari strati di melanosomi. Queste strutture cellulari colme di melanina, sono in grado di disperdere i fotoni della luce in entrata, senza rifletterli in uscita. Un esempio è il drago pinna filata, che durante la giovinezza si avvale di mimetismo ultrablack per compensare la propria vulnerabilità. Altri pesci ancor più complessi, hanno sviluppato un rivestimento ultrablack nelle proprie interiora. In questo modo, l’ingestione di organismi bioluminescenti non cagiona il disvelamento della posizione del pesce stesso.