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Così Super-kamiokande intacca l’elusività dei neutrini

Il suggestivo rivelatore di neutrini Super-Kamiokande, o Super-K, è ubicato in Giappone, nel sottosuolo della miniera di Kamioka da cui prende il nome, prefettura di Gifu. L’osservatorio, è utile nello studio di neutrini solari e atmosferici, nonché di quelli provenienti da supernove, e nell’analisi del decadimento dei protoni.

Struttura e funzionamento

Schema del rivelatore Super-Kamiokande:
Il rilevatore è composto principalmente da due segmenti, i rilevatori interno ed esterno. 
Il confine tra i due segmenti è definito da uno scaffold cilindrico utilizzato per montare i tubi fotomoltiplicatori e separare otticamente i segmenti. La figura proviene da Ref.[72]
Photo by: Nuclear Instruments and Methods in Physics Research Section A Accelerators Spectrometers Detectors and Associated Equipment

Il suggestivo rivelatore Super-Kamiokande, si compone di una imponente struttura equipaggiata con più di undicimila fotomoltiplicatori, collocati sulle pareti di un serbatoio colmo di acqua purissima. I fotomoltiplicatori sono così in grado di captare la luce emessa dai fugaci neutrini, quando questi interagiscono con l’acqua. Tanto è il necessario per studiare una delle particelle subatomiche più elusive mai individuate, non soggetta a interazioni forti ed elettromagnetiche, e dunque molto restia all’interazione con la materia. Queste caratteristiche proprie dei neutrini, rendono indispensabile l’impiego di rivelatori di massa estremamente grande, e di un ambiente di studio il più possibile riparato dalle radiazioni cosmiche, dunque sotterraneo.

Gli undicimila fotomoltiplicatori di Super-kamiokande

Neutrini e anti-neutrini, perché tanto interesse?

Uno studio profittevole della fisica dei neutrini porterebbe a importanti sviluppi sulla comprensione della teoria delle particelle elementari, e dunque sulle origini e l’evoluzione dell’Universo. Dunque Super-Kamiokande e gli altri laboratori come quello del Gran Sasso, rappresentano porte aperte verso la conoscenza dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo, mediante lo studio non solo dei neutrini, ma anche dei cosiddetti anti-neutrini. Gli antineutrini sono naturalmente le anti-particelle dei più noti neutrini. Questo significa che corrispondono in massa ai neutrini, ma posseggono alcuni numeri quantici opposti, ad esempio la carica elettrica o il numero barionico.

Il primo utilizzo di una camera a bolle di idrogeno per rilevare i neutrini, il 13 novembre 1970, presso l’Argonne National Laboratory . Qui un neutrino colpisce un protone in un atomo di idrogeno; la collisione si verifica nel punto in cui emanano tre tracce a destra della fotografia.

Un esempio più semplice del rapporto particella e antiparticella relativa risiede nel binomio elettrone, p. carica negativamente e positrone, antiparticella dell’e., carica positivamente. I neutrini, sono particelle prive di carica elettrica e con massa estremamente piccola, tanto da non esser stata ancora misurata. Gli antineutrini, semplificando, possono esser descritti come particelle con egual massa e carica ma con elicità destrorsa (cioè pari a +1), dal momento che i neutrini sono di elicità sinistrorsa (elicità pari a -1). L’elicitá non è altro che la proiezione del vettore di spin della particella, in direzione della sua quantità di moto.

Ma come fu individuata l’esistenza di particelle così sfuggevoli?

Kamioka Observatory, ICRR, Institute for Cosmic Ray Research, The University of Tokyo

Abbiamo più volte ricordato quanto i neutrini e gli anti-neutrini siano le particelle più difficilmente individuabili fra quelle conosciute. La loro esistenza fu ipotizzata la prima volta nel 1930 dal fisico austriaco W. Pauli, noto ai più per il Principio di Esclusione che governa la configurazione elettronica degli atomi. Nello studiare il decadimento radioattivo di tipo beta dei nuclei atomici, W. Pauli notò quanto alcune osservazioni richiedessero che durante il decadimento fosse prodotta una particella neutra di massa infinitamente piccola, da quì si ipotizzò una prima forma di neutrino. In seguito, la teoria fu perfezionata da E. Fermi, che attribuì alla particella il nome oggi in uso. I neutrini però non erano ancora stati mai davvero osservati, per questo si dovette aspettare il 1956, quando C. Cowan e F. Reines riuscirono a catturare degli antineutrini prodotti da un reattore nucleare negli U.S.A. .

L’origine dei neutrini: richiami al decadimento beta

Ricordando che una particella beta non è altro che un elettrone ad alta velocità in uscita da un nucleo in disintegrazione, possiamo definire come si originano i neutrini. Sapendo che la particella di cui sopra può avere carica unitaria negativa (decadimento beta negativo), o positiva (decadimento beta positivo) e massa equivalente a quella dell’elettrone standard, si presentano rispettivamente i seguenti casi, giustificabili ricordando la Teoria dei Quark:

  1. In un nucleo instabile neutron-ricco rispetto al suo isobaro stabile, un neutrone si trasformerà in protone per perseguire la stabilità, e contestualmente vi sarà l’emissione di un anti-neutrino e di un elettrone. L’energia cinetica delle particelle espulse è quella liberata dalla trasformazione del neutrone in protone. Essa è inoltre imprevedibile e si distribuisce in uno spettro continuo di valori secondo una modalità probabilistica.
  2. Nel decadimento beta positivo invece, un nucleo instabile per deficienza di neutroni, il nucleo tenderà alla stabilizzazione emettendo un positrone ed un neutrino.

I neutrini sono poi classificabili in tre famiglie, dette sapori:

  1. I più noti neutrini elettronici, associati all’elettrone e indicati con νe
  2. I neutrini muonici, associati alla particella muone e indicati con νμ
  3. Neutrini tau, associati alla particella tau e indicati con ντ

Tutte e tre le tipologie di neutrino sono soggette ad oscillazioni di sapore, dunque in certe condizioni possono trasformarsi l’uno nell’altro. Questo fenomeno è rilevante, perché implica che i neutrini abbiano una massa, per quanto piccola essa sia.

CNGS ed OPERA, neutrini dal CERN ai laboratori del Gran Sasso

CNGS e OPERA indicano rispettivamente Cern Neutrinos to Gran Sasso, e Oscillation Project with Emulsion-tRacking Apparatus. Entrambi fanno riferimento al complesso apparato composto da 150.000 blocchi che, nella sala C dei Laboratori dell’Infn del Gran Sasso, compongono il bersaglio del fascio di neutrini sparati dal Cern. L’esperimento CNGS/OPERA ha preso vita nel 2006, e si propone di indagare sul fenomeno dell’oscillazione dei neutrini, che a certe condizioni li fa risultare a volte muonici, a volte tau.

Laboratori INFN Gran Sasso

In particolare, dal 2007 il CERN genera neutrini muonici e li spara in direzione del laboratorio del Gran Sasso. Dopo miliardi di miliardi di neutrini lanciati da Ginevra e arrivati all’INFN, nel 2010 è stato osservato un primo neutrino che ha oscillato da muonico a tau, risultato sufficiente per suggerire che i neutrini posseggano massa. Successivamente, nel 2012 l’esperimento OPERA del Gran Sasso ha osservato una seconda oscillazione di sapore del neutrino muonico in neutrino tauonico. Inoltre, al 2012 si contavano ben 19 oscillazioni da neutrino muonico a neutrino elettronico. Come detto sopra, studiando le oscillazioni di sapore dei neutrini, si potrebbe un giorno giungere a determinarne la massa, con importantissimi risvolti scientifici.