Biologia

Dal DNA degli elefanti una scoperta per sconfiggere il cancro

Gli elefanti sono tra gli animali più grandi e longevi esistenti e, stando a quanto dice la statistica, dovrebbero avere un maggiore rischio di ammalarsi di tumore avendo un numero di cellule 100 volte quelle dell’uomo. A causa di ciò, le probabilità che queste diventino tumorali è molto elevata ma, in realtà, accade esattamente il contrario: solo il 5% dei pachidermi si ammala di tumore contro il 25% degli umani. Ma come è possibile? Capirlo potrebbe essere la strada per trovare una cura definitiva al cancro?

Per questo motivo, gli scienziati del Huntsman Cancer Institute (HCI) dell’University of Utah and Arizona State University hanno osservato per anni gli elefanti del Ringling Bros. Center for Elephant Conservation per scoprire a cosa fosse dovuta la loro protezione dai tumori, giungendo alla conclusione che il segreto della loro salute è una questione di genetica.

Cos’è un tumore?

Rappresentazione di una cellula tumorale attaccata da linfociti T Credits: Farmamente

Il nostro corpo è costituito da cellule che crescono, si riproducono e muoiono. Alcune cellule possono subire un’anomalia in questo processo, legato al fatto che il meccanismo di proliferazione cellulare non è più controllato dal punto di vista biologico e, le cellule, iniziano a crescere in maniera incontrollata a tal punto da creare una massa chiamata tumore.

Le cellule normali nel corso della loro evoluzione, si trasformano in tipi di cellule con funzioni specifiche mentre le cellule tumorali crescono uguali a sé stesse senza fermarsi, ignorando tutti i segnali che dovrebbero impedirlo come quelli di apoptosi, ovvero il processo naturale di morte programmata di una cellula (senza apoptosi, infatti, il corpo non è in grado di eliminare le cellule non necessarie).

Perché gli elefanti non si ammalano di tumore?

La risposta è nel loro DNA, in particolare in un gene chiamato “guardiano del genoma” TP53, un soppressore tumorale di cui i pachidermi ne posseggono ben 38 copie mentre l’uomo solo 2. È questa la conclusione di uno studio pubblicato sulla rivista Journal of American Medical Association (JAMA) guidato dagli scienziati dell’Università dello Utah. Tale gene è un fattore di trascrizione che regola il ciclo cellulare, ricoprendo la funzione di soppressore tumorale ed è fondamentale nel mantenimento del buono stato di salute di una cellula e del DNA stesso, partecipando al meccanismo di apoptosi cellulare.

Credits: Shutterstock

Avendo gli elefanti un numero elevato di cellule, è quasi naturale pensare che questi possano sviluppare tanti tumori, commenta Joshua Schiffman, oncologo pediatrico dell’Huntsman Cancer Institute coautore dello studio e, a quest’ora, dovrebbero già essere estinti.

I risultati dello studio americano

Per studiare come, allora, gli elefanti riescano a difendersi, sono state fatte delle analisi del sangue ai pachidermi manomettendo artificialmente alcune cellule con una strategia che le danneggiasse e che permettesse di innescare un tumore. È a questo punto che il gioco ha inizio: le cellule malate si “suicidano” per evitare danni irreparabili e ne vengono prodotte di nuove e sane, grazie all’attivazione del genoma guardiano che deve difendere l’animale, distruggendo le cellule malate ad un tasso doppio rispetto a quanto accade nelle cellule umane sane.

L’attenzione si è rivolta verso lo pseudogene Lif6, cioè un gene ancestrale che ha perso la capacità di essere espresso, inibitore della leucemia: in presenza di danni al DNA tale pseudogene, attivato dal gene TP53, produce una proteina che raggiunge il mitocondrio della cellula danneggiata provocandone dei pori che portano alla sua morte.

In questo studio, i ricercatori hanno studiato la resistenza al cancro degli elefanti, confrontando il loro DNA con quello di persone sane e di pazienti affetti da sindrome Li-Faumeri, una condizione genetica che aumenta la predisposizione allo sviluppo di tumori.

È stato scoperto innanzitutto che la mortalità per tumore non aumenta all’aumentare della taglia o della durata della vita (infatti gli elefanti hanno una probabilità di morire per cancro intorno al 5% mentre gli uomini fino al 25%). La cosa più sorprendente che hanno dimostrato è proprio la presenza nel DNA dei pachidermi di copie multiple del gene TP53 che nei tumori umani si trova mutato e che tale gene ha la funzione di protezione dei pachidermi, contribuendo al loro mantenimento in vita, essendo proprio questo gene un inibitore e un distruttore di cellule tumorali, cosa che nell’uomo non accade perché tale gene è disabilitato dalle cellule stesse.

L’obiettivo è, dunque, capire se il corredo genetico degli elefanti possa aprire una strada alla cura del cancro ed essere utili alla ricerca. Ovviamente dovranno essere fatti ulteriori studi per determinare se il gene TP53 protegge direttamente gli elefanti dal cancro e per verificare la possibilità di produrre nuovi farmaci per combattere il cancro negli esseri umani in grado di ripristinare il funzionamento di TP53.

“La natura ha già capito come prevenire il cancro”, sentenzia Joshua Schiffman, “sta a noi imparare come i diversi animali affrontano il problema, in modo da poter adeguare tali strategie alla prevenzione del cancro nelle persone”.

Published by
Valentina Dentato