Il surriscaldamento urbano è un problema che non possiamo più trascurare. Edifici capaci di adattare il proprio colore a seconda delle condizioni esterne di temperatura sono la nuova frontiera dell’efficientamento energetico: la smart city del futuro è termocromatica.
In inglese è chiamato heat island phenomen, in italiano surriscaldamento urbano: l’aumento delle temperature in città diminuisce la qualità della vita, aumenta il livello di inquinamento e la siccità, minaccia la nostra salute. Le città si espandono, le attività umane inquinanti invadono le aree rurali, la vegetazione è rimpiazzata da un quantitativo massivo di materiali edilizi. L’urbanizzazione fomenta il surriscaldamento globale e, d’altro canto, l’aumento delle temperature raggiunge i suoi picchi proprio in città. Il rapporto intimo città-surriscaldamento è malato e pericoloso.
Secondo studi recenti, in un lasso di tempo di 80 anni, dal 1990 al 2070, la temperatura media dell’aria cittadina sarà aumentata di 2.5 °C. Di questi, 2°C sono imputabili al processo complessivo di surriscaldamento globale, ma i restanti 0.5°C sono frutto dell’inarrestabile accrescersi dell’estensione urbana.
Posto che l’aumentare della popolazione mondiale implichi la crescita delle zone cittadine, come possiamo cambiare il paradigma attuale? Naturalmente bisogna diminuire l’uso di combustibili fossili, ma avete mai pensato all’effetto dei materiali edilizi sulla salubrità dell’aria cittadina? Ai soli edifici è imputabile il 50% del consumo energetico globale. La percentuale contempla sia l’energia necessaria alla costruzione e demolizione degli stessi, sia l’energia usata per la climatizzazione nel corso dell’anno. Nel 2010 il consumo annuo si attestava sui 23.7 PWh, ma è prevista un incremento fino a di 38.4 PWh entro il 2040.
Qualche decennio fa, i ricercatori si sono chiesti come poter efficientare le nostre strutture dal punto di vista energetico. Nel corso degli anni sono state sviluppate due nuove generazione di materiali da costruzione con proprietà ottiche inedite, ossia i cool materials e i fluorescent materials. Rispettivamente, le categorie sopra citate sfruttano la riflessione solare e la fotoluminescenza. Coatings con simili proprietà ottiche, se applicati su tetti e facciate, abbassano la temperatura media della superficie diminuendo, di conseguenza, il flusso di calore verso l’interno dell’edificio. Una tecnologia del genere è estremamente efficace per ridurre il condizionamento nei mesi estivi o nelle aree geografiche con un clima sempre caldo, ma è chiaro come si riveli svantaggiosa nel caso la temperatura e il livello di radiazione solare siano basse.
La soluzione? Realizzare edifici intelligenti, aventi proprietà ottiche che adattano il colore alle condizioni esterne di temperatura e al livello di radiazione solare. Pensando al clima italiano nel corso dell’anno è intuibile come in estate la riflettanza dello spettro solare debba aumentare, mentre in inverno debba diminuire. In questo modo il flusso di calore verso gli spazi interni è limitato quando fa caldo ed è, al contrario, favorito nei periodi freddi, quando il calore del sole diventa prezioso per limitare l’uso del riscaldamento. La risposta tecnologica a questa idea è stata fornita dalla stessa natura: il termocromatismo ha ispirato la terza generazione di materiali da costruzione.
Il termocromatismo è conosciuto dall’inizio del 1900, quando è iniziato lo studio delle numerose sostanze che lo manifestano: molecole organiche e inorganiche, sistemi organometallici o macromolecolari come i cristalli liquidi. Lo scienziato H. Day definì il fenomeno come “un cambiamento reversibile di colore facilmente osservabile, che si verifica in un intervallo di temperatura limitato dalla temperatura di ebollizione di ogni liquido, dalla temperatura di ebollizione del solvente nel caso di soluzioni o dalla temperatura di fusione dei solidi”. Successivamente la definizione è stata estesa anche ai sistemi che esibiscono una variazione delle proprietà ottiche non osservabile ad occhio nudo, pertanto relativa a cambiamenti della trasmittanza, assorbanza o riflettanza nelle regioni dello spettro al di fuori del visibile.
Una manifestazione secondaria del termocromatismo è nota come “effetto termotropico” e consiste nella variazione della trasparenza a causa del cambiamento delle proprietà di scattering della radiazione luminosa in risposta alla variazione di temperatura, in altre parole si osserva una progressiva opacizzazione provocata dalla dispersione della radiazione luminosa nella materia stessa.
Le caratteristiche ottiche della materia, e quindi il suo colore, sono determinate dalla sua natura a livello strutturale e molecolare. Ogni molecola è caratterizzata da una struttura elettronica propria, determinata dal riempimento degli orbitali molecolari da parte degli elettroni, i quali occupano il loro stato energetico fondamentale. Per ogni livello elettronico esistono diversi stati vibrazionali e rotazionali possibili. Nel momento in cui una molecola è irradiata, i suoi elettroni vengono eccitati. In funzione dell’energia trasportata dalla radiazione incidente, dato il principio di quantizzazione, l’eccitazione può risultare in una transizione tra livelli vibrazionali (IR) o rotazionali (microonde) di uno stesso stato elettronico, oppure può portare ad una transizione tra diversi stati elettronici (UV-vis).
Qualsiasi cambiamento configurazionale o riguardante la natura dei legami molecolari varia la struttura elettronica e quindi le caratteristiche ottiche della stessa specie chimica. Quando tale riorganizzazione comporta un cambiamento nelle frequenze assorbite nel visibile, si osserva una transizione di colore. Diversamente, il fenomeno non è apprezzabile ad occhio nudo.
Un’altra possibilità riguarda materiali “nano-strutturali”. Questi ultimi hanno una struttura stratificata, così fine, da interagire con la luce causando interferenza costruttiva o distruttiva delle onde elettromagnetiche costituenti lo spettro visibile. I layers costitutivi del materiale sono caratterizzati da un indice di rifrazione differente e disposti in modo che esso abbia una variazione periodica. In questo caso, ogni cambiamento dell’organizzazione strutturale causa una differente interazione radiazione-materia.
Le sostanze intelligenti cromogeniche, manifestano un cambiamento delle proprietà ottiche in risposta ad uno stimolo: la variazione è univoca, prevedibile e avviene in un periodo di tempo utile ad un’eventuale applicazione tecnologica. In particolare, quando si parla di termocromatismo, si intende che lo stimolo responsabile è la variazione di temperatura dell’ambiente esterno.
Lo studio dei meccanismi termocromatici “intrinseci” dei sistemi naturali e la loro profonda comprensione ha permesso di sintetizzare un pigmento termocromatico artificiale. Le sue proprietà sono “estrinseche” perché in realtà derivano dall’interazione sinergica di tre componenti, interazione che viene influenzata dalla temperatura. Il pigmento è detto leuco dye mixture o miscela leuco. Ecco perché e come funziona.
“Leuco” deriva dal greco “leukos” e significa bianco. Il nome suggerisce quindi la capacità del prodotto di virare da un tono definito ad uno stato incolore. Le leuco-dye mixtures hanno natura organica e sono formate da tre componenti:
L’interazione consiste in un meccanismo di trasferimento di elettrone: il color former è sostanzialmente un pigmento elettron-donatore, il color developer è un composto elettron-accettore, il solvente è un acido, estere o alcol a lunga catena. Come intuibile dagli appellativi, il colore è determinato da color former e color developer, mentre il solvente determina la temperatura di transizione.
Scendiamo più nel dettaglio circa l’avvenimento dell’ossido-riduzione. Il potenziale di riduzione dell’elettron-donatore è prossimo a quello dell’elettron-accettore, ma i rispettivi valori hanno una dipendenza dalla temperatura differenziata e questo fa sì che la variazione di quest’ultima induca l’avvenimento della REDOX in uno dei due sensi. Lo scambio di carica comporta formazione/scissione del complesso “elettron donatore – elettron accettore”, che è responsabile del colore. Si è osservato che lo stato colorato si presenta al di sotto della temperatura di fusione del solvente, mentre quando il solvente si scioglie il complesso si scinde e l’interazione tra esso e il color developer diventa predominante, determinando il passaggio allo stato incolore. I componenti vengono microincapsulati in gusci di resina melamminica o ureica. Tipicamente è usata la melammina formaldeide, che offre ottime proprietà meccaniche, inerzia chimica e durabilità.
Utilizzando la tecnologia termocromatica leuco nelle nostre strutture potremmo renderle intelligenti. Se tetti e facciate si adattassero al livello di radiazione solare esterna, la temperatura media degli ambienti interni si manterrebbe più stabile nel corso dell’anno: in estate lo stato leuco del pigmento aumenterebbe la riflessione della radiazione, mentre con l’abbassamento delle temperature si assisterebbe ad una transizione verso lo stato colorato con una più elevata capacità di assorbire i raggi solari. Perché, allora, non inserire le microcapsule leuco nelle vernici o nella malta edilizia? È quanto si è domanda la comunità scientifica all’inizio del nostro millennio. Da allora gli studi hanno progredito notevolmente.
Le vernici termocromatiche sono le uniche tecnologie leuco ad essere state testate in ambiente urbano. Lo studio è stato condotto ad Atene, nei mesi estivi del 2007. Le microcapsule sono state inserite in un binder polimerico non assorbente nell’infrarosso, poi applicato su piastrelle. Il problema principe è la fotodegradazione, che si manifesta su due livelli. L’interazione con la radiazione solare determina, da una parte, la perdita progressiva della capacità camaleontica del pigmento leuco e, dall’altra, l’ingiallimento del binder dovuto ai raggi UV, largamente assorbiti da tutte le vernici e causanti crosslinking delle catene polimeriche della matrice.
Dal 2016, parallelamente, è stata studiata una composizione ottima della malta cementizia. Una buona quantità di aggregato calcareo, unita a cemento Portland bianco, abbassa il pH (altrimenti fortemente alcalino 11.5 ca.) e protegge le microcapsule dalla presenza degli ioni potassio che attaccano e disgregano la formaldeide causando la dispersione della miscela. I cationi K+, infatti, si legano preferibilmente con gli ioni carbonato, precipitando come KHCO3.
Cosa indicano i risultati ottenuti? In entrambi i casi la tecnologia è efficace e permetterebbe effettivamente la regolazione energetica. Ma allora perché questa tecnologia resta relegata ai laboratori di ricerca? Purtroppo, ci sono ancora limiti da superare. I costi sono ancora elevati rispetto ad una prospettiva di produzione di massa, la vita delle vernici è breve e occorrerebbe una manutenzione troppo frequente degli edifici.
Nonostante sia una soluzione ancora teorica, il pigmento termocromatico accende una luce di speranza. La ricerca avanza e svela altre potenzialità. Nel 2013 nasce il progetto pionieristico di un asfalto intelligente. L’inserimento nell’asfalto comune di un pigmento leuco con transizione nell’infrarosso, può mantenere più stabile la temperatura media delle nostre strade, senza che variazioni di colore disturbino i viaggiatori. Minori sbalzi termici aumenterebbero la sicurezza di guida rallentando sensibilmente la formazione di ghiaccio e diminuirebbero la fatica termica allungando la vita dell’asfalto. Sarà l’intelligenza a salvare il nostro pianeta e a restituirci un futuro a colori.
Articolo a cura di Eleonora Rusconi