Quante volte vi è capitato che una mela succosa cadesse a terra ammaccandosi e lasciando fuoriuscire un po’ del suo succo dolce sul pavimento? A me, da persona sbadata quale sono, parecchie volte. Non meno frequenti sono le cadute di limoni, aranci e pompelmi, di cui sono una grande fan. Sorprendentemente, gli agrumi cadono senza subire danni, piombano sul pavimento e al più rotolano fino a fermarsi. Questo fatto può sembrare di primo acchito davvero poco significativo, eppure la biomimetica ci insegna che l’osservazione della natura è un grande passo verso l’innovazione tecnologica.
Gli esperidi, comunemente detti agrumi, sono una famiglia di frutti tanto numerosa quanto diffusa. Poche persone sanno che gli avi dei numerosi frutti che oggi consumiamo sono davvero pochi. Citrus Maxima (pomelo), Citrus Medica (cedro) e Citrus reticulata (mandarino) sono i tre agrumi originari più conosciuti. La regina indiscussa, l’arancia, è derivata dall’incrocio tra pomelo e mandarino, mentre il pompelmo è derivato da una specifica tipologia di arancia e il pomelo. Nel tempo gli uomini hanno cercato di assottigliare la buccia degli agrumi per avere frutti più polposi, a parità di grandezza complessiva. Eppure è proprio la buccia ad essere il prodotto high-tech della selezione naturale.
Tutti gli esperidi, antichi e moderni, hanno una buccia formata da un doppio strato. Esternamente troviamo la cosiddetta flavedo: layer colorato, sottile ma compatto e responsabile della fragranza del frutto. Internamente è posizionata l’albedo: spugnosa, biancastra e amara al gusto. Le cellule della flavedo hanno uguale diametro e sono accostate senza lasciare spazi vuoti. Al contrario, quelle della albedo hanno forma irregolare, allungata e con ramificazioni che creano spazi vuoti intercellulari. Inoltre, fasci più rigidi ne irrobustiscono la struttura. Nel complesso la parte interna ha il design di un telaio semirigido riempito di una schiuma compatta.
La albedo è l’asso nella manica degli agrumi contro la gravità. La sua struttura è un sistema viscoelastico capace di ammortizzare la caduta. In Natura, quando un frutto cade dall’albero acquisisce una certa energia cinetica proporzionale al suo peso. Nel momento dell’impatto al suolo, l’albedo si compatta: la deformazione degli spazi vuoti dissipa l’energia cinetica accumulata, mentre i fasci più resistenti proteggono la polpa interna. Lo spessore della buccia è proporzionale al peso del frutto ed è omogeneo: qualsiasi sia il punto che impatta al suolo la protezione è assicurata.
In linea generale, possiamo dire che i materiali assorbenti classici scaricano l’energia meccanica in tre fasi. Inizialmente la risposta è lineare elastica: la deformazione avviene istantaneamente e reversibilmente. In un secondo momento si assiste ad un plateau, seguito subito dopo dal riprendere della deformazione fino al punto di cedimento. Quando questo si verifica, l’energia meccanica è scaricata sul contenuto interno, teoricamente da proteggere. Nel caso degli agrumi, la buccia riesce ad assorbire tutta l’energia meccanica senza che venga mai raggiunto il limite.
L’agrume più performante tra gli esperidi è proprio uno dei capostipiti: il pomelo. In realtà, la cosa non dovrebbe stupire perché gli incroci sono stati effettuati proprio per aumentare la polpa e diminuire lo spessore della buccia. Il pomelo è un frutto molto grosso e pesante, che senza la sua albedo sarebbe destinato a spiaccicarsi al suolo. Ecco un po’ di numeri: l’albedo del pomelo è in grado di dissipare tra il 70% e il 90% dell’energia cinetica di caduta. Sollecitazioni fino ad 80 Joule non hanno conseguenze per il frutto interno. Ma perché la selezione naturale ha favorito questo genere di struttura? La risposta consiste sempre nella necessità di perpetuare la specie. Quando un frutto selvatico cade dall’albero è ottimale che riesca a rotolare il più lontano possibile: in questo modo potrà lasciare i semi in un’altra zona e favorire la nascita di esemplari su un’ampia area.
La caratteristica vincente della albedo del pomelo è la geometria. Andando dall’esterno verso l’interno, aumentano il numero e la grandezza dei vuoti tra una cellula e l’altra. In altre parole, la densità diminuisce avvicinandosi alla polpa. Contemporaneamente, fasci rigidi si dipongono perpendicolarmente all’esterno del frutto. Questi si biforcano esattamente ogni 16,5% dello spessore totale della buccia, aumentando esponenzialmente dall’interno verso l’esterno. La albedo del pomelo è un prodotto ingegneristico perfetto, avente un sorprendente equilibrio tra le parti. Se gli spazi vuoti fossero troppi la buccia non proteggerebbe l’interno e sarebbe la polpa a subire l’urto. D’altro canto, se i pieni fossero eccessivi, il peso e quindi la sollecitazione all’impatto che i montanti dovrebbero sopportare sarebbe incompatibile.
La buccia del pomelo è una struttura virtuosa. Dalla sua osservazione si potrebbe trarre un modello che incorpori le giuste proporzioni tra spazi pieni e vuoti, tra il peso dei riempimenti e la resistenza meccanica dei montanti. Si potrebbe andare oltre alle classiche schiume assorbenti concependo delle strutture formate da un pattern di spazi vuoti e pieni irrobustito da fasci resistenti. E’ stuzzicante l’ipotesi di progettare barriere multistrato per paraurti o caschi innovativi che coniughino capacità assorbente, leggerezza e uso efficiente del materiale sul modello già collaudato dalla selezione naturale.