Dal MIT di Boston un nuovo modo per generare la corrente elettrica
Elettrochimica senza fili: è questa la scoperta degli ingegneri del MIT di Boston in poche parole. L’articolo a proposito è uscito proprio ieri su Nature Communications. L’innovativo sistema elettrochimico è formato da microparticelle di carbonio immerse in un solvente organico. Le microparticelle sono derivate dalla frammentazione di nanotubi di carbonio e rivestite con un polimero simile al Teflon. È l’interazione tra particolato e fluido il segreto della generazione “wireless” di corrente elettrica: il solvente estrae elettroni dalle particelle creando una vera e propria corrente di cariche negative.
L’idea all’origine della corrente elettrica “wireless“
L’origine della scoperta risale al 2010. In quell’anno Michael Strano, ricercatore e professore di ingegneria chimica al MIT, sta studiando i nanotubi di carbonio, che, ricordiamo, sono tubi cavi formati da un reticolo di atomi di carbonio. Insieme al suo gruppo di ricerca il professore scopre che queste strutture possono generare onde termiche (thermopower waves), descrivibili come impulsi di calore che scorrono lungo i nanotubi. In particolare, il fenomeno ha luogo quando questi sono ricoperti da un strato di un’idonea sostanza che funge da combustibile: è cosi che si genera corrente elettrica.
Il principio alla base della generazione di corrente elettrica
La scoperta sorprendente delle onde termiche ha spinto i ricercatori a studiare a fondo le proprietà dei nanotubi di carbonio. Hanno così scoperto che quando un nanotubo è parzialmente coperto da Teflon, si genera una asimmetria chimico-fisica che rende possibile il movimento degli elettroni dalla zona rivestita verso la parte nuda del materiale generando corrente elettrica. Questi elettroni possono essere strappati dalla strutture immergendo il nanotubo in un solvente che sia altamente elettronegativo, cioè “avido di elettroni”.
Macinazione di nanotubi per potenziare la generazione di corrente elettrica
Per riuscire a sfruttare al meglio la proprietà scoperta, i ricercatori hanno trovato una soluzione affascinante. Hanno macinato i nanotubi di carbonio fino a ridurli in polvere e successivamente hanno compattato il materiale per ottenere fogli carboniosi. Un lato di ogni foglio è stato quindi rivestito con un polimero simile al Teflon e, per finire, ne è stato ricavato un particolato. La misura delle particelle usate durante le fasi di sperimentazione è pari a circa 250 micron. Nel momento in cui queste sono immerse in un solvente idoneo, come l’acetonitrile (solvente organico altamente polare), accade che il fluido aderisce alla parte non rivestita di ogni particella e inizia ad attrarre elettroni, estraendoli dal materiale. L’estrazione di elettroni da parte dell’ambiente genera una squilibro che il materiale cerca di compensare muovendo altri elettroni.
Una scoperta di ampio respiro
Questa scoperta è davvero significativa perché apre le porte allo sfruttamento dell’energia elettrica immagazzinata nei materiali stessi. La tecnica usata, che prevede il rivestimento di una sola parte del materiale di base, è detta on-site electrochemical synthesis. La riuscita della sua applicazione prospetta la possibilità di sfruttare lo stesso principio su materiali diversi e di creare sistemi elettrochimici di sintesi differenti tra loro. La scoperta degli ingegneri del MIT è di fatto la scoperta di una tecnica generale.
Prestazioni: quanta corrente elettrica viene generata?
Ogni particella può generare 0.7 Volt. I ricercatori hanno quindi creato reattori packed bed, ovvero array di centinaia di particelle all’interno di un tubicino. Il reattore usato come tester ha permesso di generare la corrente elettrica necessaria ad alimentare la reazione di ossidazione alcolica, in cui un alcool è ossidato ad aldeide o chetone. Questa reazione è molto usata nell’industria chimica, ma normalmente non è effettuata sfruttando l’elettrochimica perché consumerebbe troppa corrente elettrica “classica”.
Tanti vantaggi: le possibili applicazioni del reattore packed bed
Il sistema ha evidenti vantaggi. Prima di tutto il packed bed è insieme filo e reattore: non è più necessario un sistema elettrochimico da cui far partire il cablaggio, inoltre è decisamente più maneggevole. La corrente elettrica sarebbe ideale per alimentare micro– e nano- robot dalle molteplici applicazioni, dalla sensoristica ambientale alla biomedica: al MIT alcuni prototipi di queste dimensioni sono già stati costruiti. La potenzialità è immensa perché non sarà più necessaria la presenza di batterie: il sistema sarà capace di estrarre l’energia, almeno in parte, dall’ambiente.
La fotosintesi ispira prospettive futuristiche
Il vero sogno di Strano e del suo team è, però, ancora più fantascientifico. Stanno infatti lavorando all’utilizzo di questo tipo di energia per la costruzione di polimeri, usando solo anidride carbonica come sostanze di base e energia solare. L’ispirazione viene dalle piante. Durante la fotosintesi l’energia solare permette l’avvenimento di un set di reazioni chimiche che trasformano l’anidride carbonica in zuccheri che nutrono l’organismo. La realizzazione di questo sogno non sembra essere tanto lontana: Strano e i suoi collaboratori hanno già realizzato un polimero capace di rigenerarsi usando anidride carbonica come materiale di partenza e attraverso un processo che è alimentato esclusivamente ad energia solare.
La grande bellezza di questa scoperta secondo i ricercatori? “Non c’è nessuna sofistica batteria all’interno del sistema”, spiega Strano. E aggiunge: “E’ solo una particella e tu la poni in un solvente ed essa inizia a generare un campo elettrico”.