Patologie Ibernate: la liberazione di antichi patogeni dai ghiacciai in scioglimento
Il riscaldamento globale è un fenomeno climatico che comporta l’aumento della temperatura media globale, evento che porta ad una serie di fenomeni atmosferici correlati. Tra i vari mutamenti portati dal riscaldamento molti sono dovuti all’alterazione di tutti i fenomeni legati al ciclo dell’acqua, come alluvioni, siccità, desertificazioni, innalzamento degli oceani, variazione della circolazione atmosferica e scioglimento dei ghiacci. Questo cambiamento, che è tuttora in corso, ha avuto inizio verso la fine del XIX secolo e sembra essere dovuto prevalentemente all’attività umana. Ma cosa c’entrano i patogeni nei ghiacciai?
La causa del riscaldamneto globale è l’aumento delle emissioni sempre crescenti nell’atmosfera terrestre di particolari gas responsabili dell’effetto serra, detti per l’appunto gas serra, di origine prevalentemente antropica. Il meccanismo che sta alla base dell’effetto serra è la capacità di questi gas di trattenere una cospicua parte della componente nell’infrarosso della radiazione solare. In pratica, una parte dell’energia della radiazione solare entra nell’atmosfera terrestre, ma non esce, portando quindi ad un accumulo di quest’ultima. I gas serra sono molti e di vario tipo, tra più noti e dannosi, per esempio, sono presenti il metano e l’anidride carbonica. Il famoso protocollo di Kyoto è un trattato che regolamenta le emissioni dei gas serra cercando di limitare i danni ambientali.
La vita, il permafrost e tutto il ghiaccio
I ghiacciai, durante la loro formazione, possono intrappolare al loro interno i microrganismi, congelandoli. Se uno strato di ghiaccio si è creato di recente, didentro troveremo intrappolati degli organismi più recenti, invece in uno strato di formazione antica si troveranno microrganismi antichi. La stratificazione ovviamente fà si che più si sale verso la superficie più si ritrovano gli strati di formazione recente, lasciando quelli vecchi verso il basso. Come detto in precedenza, uno degli effetti del riscaldamento globale è lo scioglimento dei ghiacci e dei ghiacciai. Il ghiaccio che si scioglie può quindi liberare i microbi che vi sono rimasti precedentemente ibernati. Tuttavia la semplice acqua che viene a formarsi non è un ambiente di sopravvivenza favorevole per molte specie.
È più probabile per molti organismi riuscire a sopravvivere ibernati nel permafrost. Il permafrost è da considerarsi un qualsiasi materiale terrestre come la terra, la sabbia o altro (il ghiaccio è generalmente considerato a parte) che sia rimasto ad una temperatura di 0°C o inferiore ad essa, quindi congelato, per un periodo di almeno due anni. La differenza fondamentale è che mentre il ghiaccio si scioglie, questo si scongela.
I microrganismi congelati nel terreno sono in assenza di ossigeno e al buio, un ambiente perfetto per la loro preservazione, ed essendo la composizione del permafrost diversa a seconda della zona di formazione, è possibile avere un ampia gamma di terreni adatti alla sopravvivenza di organismi differenti. Quando il permafrost si scongela i microrganismi si possono spostare nella parte superiore formata prevalentemente dall’acqua sciolta rendendo più difficile il loro ulteriore congelamento nel terreno.
La vita nel ghiaccio artico: patogeni nei ghiacciai?
Nel ghiaccio dell’Artico non sono unicamente presenti organismi rimasti congelati; nonostante le temperature e le condizioni estreme è comunque possibile ritrovare chi riesce a sopravvivere. Nella fauna microbica locale è possibile trovare alcuni virus e batteri, certe specie di alghe ed in particolare sono presenti microrganismi chiamati archeobatteri, ovvero “batteri antichi”.
Gli archèi, spesso confusi con i batteri “classici” poichè hanno comunque molte similitudini con questi, fanno parte di un regno tutto loro. Molti di questi micorbi sono estremofili, proprio per la loro capacità di vivere in ambienti estremi, come il ghiaccio Artico o le acque vulcaniche. Fortunatamente è quasi impossibile che microbi adatti a vivere in tali condizioni possano essere anche dei patogeni. Di fatto il corpo umano, o comunque un qualsiasi ospite animale, rappresenterebbe un ambiente con caratteristiche completamente diverse dal loro habitat naturale, in primis la temperatura.
Patogeni nei ghiacciai: virus ibernati
Sappiamo per certo che il virus del vaiolo è stato ritrovato nel ghiaccio e che potenzialmente è in grado di ritornare attivo. Come regola generale possiamo affermare che è più plausibile la sopravvivenza di un virus a DNA, proprio come il vaiolo, anziché di uno che sfrutta l’RNA, come i virus dell’influenza.
L’RNA infatti è una molecola più suscettibile alla degradazione, essendo formata da un’unica elica. Bisogna considerare inoltre che sono proprio i virus dell’influenza ed ora il Coronavirus (sempre a RNA) a scatenare pandemie. Questo significa che la liberazione di patogeni virali dai ghiacciai difficilmente interesserebbe molti territori.
La preoccupazione fondamentale nasce invece dal ritrovamento dei virus giganti, il Pithovirus sibericum ed il Mollivirus sibericum. Questi virus, così chiamati perché visibili al normale microscopio ottico, risalgono a circa 30.000 anni fa e sembrano avere una resistenza fuori dal comune. Le specie ritrovate infatti sono ritornate agenti infettivi attivi, per fortuna il loro bersaglio sono unicamente le amebe. Anche se non esiste oggi una prova concreta, si teme la comparsa di un qualche virus antico, magari dei primi ominidi in grado di risvegliarsi dai ghiacci.
Patogeni nei ghiacciai: batteri Ibernati
Se per i virus la resistenza è definita principalmente dal tipo di acido nucleico sfruttato (DNA o RNA), per i batteri è un fattore determinante la capacità di diventare spore. La spora batterica è un mezzo per la sopravvivenza estrema, il batterio rimane inattivo anche per più di un secolo in attesa che le condizioni ambientali ritornino favorevoli per la sua proliferazione. Tra i batteri con questa funzionalità ci sono il Clostridium Botulinum e il Clostridium Tetani responsabili per l’appunto di botulino e tetano.
Sicuramente in grado di riprendere la sua attività di patogeno è stato trovato nei ghiacci il Bacillus Anthracis, responsabile dell’antrace. Bisogna ricordare però che per i batteri abbiamo comunque a disposizione gli antibiotici, la vera minaccia è quindi rappresentata dalla crescente resistenza proprio a quest’ultimi. Anche per i batteri è stato ritrovata in Alaska una specie antica ancora vitale, il Carnobacterium Pleistocenum, risalente a circa 32.000 anni fà. Non si può certo escludere comunque la capacità di questi microrganismi di resistere anche per periodi di inattività più lunghi.
Possibililtà di liberazione di nuovi patogeni
La prima cosa che bisogna considerare è il fatto che microrganismo non è sinonimo di malattia, almeno per quanto vale i batteri, in quanto i virus necessitano comunque di infettare per riprodursi. Questo significa che un batterio antico non necessariamente è un patogeno. La seconda questione riguarda la capacità di un patogeno di infettare una data specie, come può essere l’uomo, che deve essere quindi a disposizione del microbo.
Di fatto per far ritornare in vita un microrganismo ibernato si devono rispettare una serie di condizioni. L’organismo deve essere presente nello strato congelato e non si deve degradare nella fase di scongelamento o subito dopo. Qualora l’organismo fosse un agente infettivo avrebbe bisogno di trovare un ospite adeguato nel breve periodo, altrimenti morirebbe. Se si scongelasse un virus delle zebre servirebbe nella stessa zona la presenza di una zebra, idem per quanto riguarda l’uomo. Riassumendo è necessario avere sia il patogeno scongelato che l’ospite nello stesso momento.
È a mio parere una minaccia sicuramente più considerevole il cambiamento degli ecosistemi dovuto all’arrivo di vecchie specie microbiche in aggiunta ai vari cambiamenti climatici prodotti dallo scioglimento dei ghiacci, come la temperatura o la modifica della salinità delle acque. Facendo un esempio semplice, se un batterio aggredisce un’alga di cui a sua volta si nutre un particolare tipo di pesce che guarda caso è il cibo preferito dei delfini, sicuramente sentiremo questi lasciare la terra una volta per tutte gridando: “Addio, e grazie per tutto il pesce”.
A cura di Karim Fiaccadori, M. Sc.