Dodici anni fa, il MIT di Boston annunciava la scoperta di un fenomeno mai osservato prima, che aveva portato alla generazione di onde di energia termica attraverso nanotubi di carbonio. I ricercatori parlarono per la prima volta di thermopower waves e dichiararono che avrebbero potuto portare ad un nuovo modo di produrre corrente elettrica. Si apriva allora una nuova area di ricerca in campo energetico e si iniziava a prospettare la possibilità di sfruttare efficientemente il fenomeno della termoelettricità. Di seguito un approfondimento sulla scoperta che ha ispirato i successivi studi sulle proprietà dei nanotubi.
Le onde di energia termica scoperte sono descrivibili come impulsi di calore che scorrono lungo il corpo dei nanotubi. I nanotubi di carbonio sono strutture aventi la forma di un tubo cavo, con un diametro dell’ordine di qualche nanometro e pareti formate da un reticolo di atomi di carbonio. Gli studiosi parlano di “chicken wire lattice”, perché la disposizione degli atomi ricorda il pattern delle reti usate per recintare i pollai. Queste nanostrutture vantano proprietà di conducibilità termica ed elettrica ottimizzate, perciò non c’è da stupirsi del fatto che possano lasciarsi attraversare da onde di calore. Qual è quindi la grande scoperta? Ebbene, gli studiosi si sono accorti che nel loro scorrere, le thermopower waves trascinano con sé elettroni, “come detriti galleggianti su un’onda del mare”. In altre parole, la trasmissione di calore genera corrente elettrica attraverso il corpo del nanotubo.
Durante la sperimentazione, ognuno di questi nanotubi è stato ricoperto con uno strato di combustibile.
Successivamente, tramite un raggio laser o una scintilla, è stata innescata la combustione a partire da una delle due estremità della struttura carboniosa. Un’onda termica ha iniziato a propagarsi molto velocemente lungo il nanotubo. Il calore, però, non si propagava solo nello strato superficiale di combustibile, ma entrava all’interno del reticolo di atomi di carbonio accelerando ulteriormente.
Davanti agli occhi degli scienziati, il calore avanzava migliaia di volte più velocemente dentro al nanotubo che nello stesso layer esterno di combustibile. Inoltre, quando dall’interno ritornava ad alimentare il combustibile in superficie il processo si autoalimentava. Insomma, lungo il nanotubo scorreva un’onda termica di 3000 Kelvin, con una velocità di propagazione 10000 maggiore del valore della normale velocità di reazione. Contemporaneamente, questo immenso calore prodotto, “spingeva” gli elettroni lungo la struttura di carbonio generando una vera e propria corrente elettrica.
Simili onde termiche di combustione sono state sudiate tramite modelli matematici per centinaia di anni, ma Michael Strano e i suoi collaboratori sono stati i primi a pensare di applicare la teoria ai nanotubi di carbonio e a ipotizzare che l’onda avrebbe “trasportato” gli elettroni di questo tipo di nanostruttura. I ricercatori, per altro, sono rimasti colpiti dai risultati: il picco di voltaggio registrato è stato pazzesco. Dopo alcune modifiche e accorgimenti, sono riusciti a far sì che l’energia prodotta usando un nanotubo di carbonio sia 100 volte maggiore dell’energia ricavabile da una batteria a ioni di litio dello stesso peso. I valori raggiunti, come afferma Michael Strano, sono nettamente superiori a quelli previsti dai calcoli termoelettrici.
Il fenomeno alla base dell’intuizione del team di Boston è la termoelettricità. Il termine indica il fenomeno che consiste nella produzione di elettricità come risultato della differenza di temperatura tra due estremità di un materiale o, viceversa, nella generazione di una differenza di temperatura tra due parti di un materiale come conseguenza dello scorrere di corrente elettrica. Il MIT è stato il vero pioniere dello studio della termoelettricità per decadi.
La conversione di calore in elettricità è stata scoperta nel 1821 dal fisico estone Thomas Seebeck e poi approfondita dal fisico francese Jean Peltier. Per questo è nota come effetto Peltier-Seebeck. A Lord Kelvin, colui che ha enunciato il secondo principio della termodinamica e che presta il nome alla scala assoluta di temperatura, è dovuta la scoperta del fenomeno inverso. Egli notò e studiò la possibilità di riscaldare/raffreddare un materiale facendo scorrere in esso corrente elettrica, oggi detta effetto Kelvin. La termoelettricità, quindi, indica che le cariche (concepibili come elettroni o vacanze) si spostano da una zona più calda ad una più fredda, muovendosi in una maniera simile ad un gas riscaldato che si espande. La proprietà termoelettrica di un materiale è misurata in Volt per Kelvin.
L’applicazione della termoelettricità è iniziata negli anni ’60, ma zoppicando. Il problema alla base di uno sfruttamento efficiente del fenomeno è la necessità di utilizzare materiali che siano buoni conduttori di elettricità, ma non di calore. Solo grazie a queste caratteristiche, infatti, un’estremità può riscaldarsi mentre la seconda resta più fredda; al contrario, se il materiale è un buon conduttore di calore tende a ristabilire subito l’equilibrio termico. Normalmente, conducibilità termica ed elettrica vanno mano nella mano, ma questo non vale per i nanomateriali. Le loro proprietà, infatti, possono essere calibrate ad hoc. Alcuni gruppi di ricerca del MIT di Boston, tra cui quello degli scopritori delle thermopower waves, Michael Strano e Gang Chen, hanno lavorato, con successo, per creare nanomateriali ottimizzati.
Normalmente il fenomeno Seebeck è molto debole nelle strutture del carbonio, per questo il risultato ottenuto è soprendente. “C’è qualcosa di più che sta accadendo qui” afferma Strano “noi parliamo di trasporto (in inglese entrainment, cioè “il salire sul treno” oppure “il caricare sul treno”) di elettroni, siccome parte della corrente elettrica sembra aumentare insieme con la velocità dell’onda”. Come un’onda carica un gruppo di surfisti trascinandoli con sé, così l’onda termica spinge le cariche generando un elevatissima potenza. Nel 2010, Strano aveva ben capito l’importanza della scoperta e aveva già parlato della possibilità di trovare nuovi modi per produrre energia elettrica, magari anche alternata sfruttando dei coating di idonei materiali, così da creare onde termiche oscillanti.
Le applicazioni possibili hanno un sapore fantascientifico. “Stellare”, aveva detto Ray Baughman (direttore della Nanotech University di Dallas, Texas) parlando della ricerca e della scoperta degli scienziati del MIT, nonché trovando l’aggettivo più adatto per rendere giustizia all’immenso lavoro dei ricercatori statunitensi, da allora fino ad oggi.