Spazio

Il Teorema di Hawking confermato sperimentalmente per la prima volta

Cinquant’anni dopo, i fisici del Massachusetts Institute of Technology (MIT) hanno confermato per la prima volta il teorema dell’area di Hawking, teorizzata dall’omonimo astrofisico di fama internazionale nel 1971.

Il teorema di Hawking

Ci sono alcune regole a cui devono obbedire anche gli oggetti più estremi e oscuri dell’universo: i buchi neri. La legge che descrive il teorema di Hawking prevede che l’area dell’orizzonte degli eventi di un buco nero, ovvero il confine oltre la quale nulla può mai sfuggire, non dovrebbe mai ridursi.

Nel 1916 Albert Einstein teorizzò l’esistenza delle onde gravitazionali, ovvero delle perturbazioni dello spazio-tempo che si propagano con carattere ondulatorio. Quasi 100 anni dopo, esattamente il 14 Settembre 2015, l’interferometro laser LIGO misurò il segnale proveniente dalla prima fusione (osservata) di un sistema binario di buchi neri, dimostrando così l’esistenza anche di sistemi di buchi neri di massa stellare.

Nello studio, i ricercatori esaminano più da vicino il GW150914, nome dato al segnale rilevato da LIGO. Se vale il teorema dell’area di Hawking, allora l’area dell’orizzonte degli eventi di un nuovo buco nero, prodotto dalla fusione due buchi neri inspiranti, non può essere più piccola dell’area dei due buchi neri “genitori”.

Simulazione al computer mostra la collisione tra due buchi neri che hanno prodotto il segnale dell’onda gravitazionale GW150914.
Credits: Simulating eXtreme Spacetimes (SXS) project.

I fisici infatti hanno notato che dopo la fusione dei due buchi neri, l’orizzonte degli eventi non è diminuito, con una confidenza del 95%. È la prima volta che viene dimostrato sperimentalmente il teorema di Hawking. Proprio per questo motivo i fisici continueranno a studiare i futuri segnali di onde gravitazionali.

Il teorema di Hawking ha un curioso parallelismo con il secondo principio della termodinamica, che asserisce che l’entropia di un sistema isolato, lontano dall’equilibrio termico, tende ad aumentare nel tempo, finché l’equilibrio non è raggiunto.

La somiglianza tra le due teorie, suggeriva che i buchi neri si comportassero come corpi termici capaci di emettere calore. Un’ipotesi sconcertante per gli anni 70, dato che per loro stessa natura, i buchi neri, non lasciano mai fuoriuscire né materia né energia.

Hawking, nel 1974, fece quadrare i conti introducendo il concetto di radiazione di Hawking, cioè la radiazione che emetterebbe un buco nero, su scale temporali molto lunghe, se i suoi effetti quantistici fossero presi in considerazione.

Prima e dopo la fusione

Nel 2019, un gruppo di ricercatori ha lavorato sull’estrazione di riverberi immediatamente successivi al picco di GW150914, proprio nel momento della fusione dei due buchi neri “genitori”. Questi dati sono stati utilizzati per il calcolo della massa e dello spin del buco nero finale, ovvero importanti parametri per il calcolo dell’area dell’orizzonte degli eventi.

Ma per vedere l’effettiva variazione dell’area prima e dopo la fusione, i fisici dell’ MIT, hanno dovuto sviluppare un modello per analizzare il segnale prima del picco, corrispondente ai due buchi inspiranti, per calcolare la massa e lo spin prima che si fondessero. Quindi, dai dati raccolti si è dimostrato che l’area del buco nero “figlio” è aumentata dopo la fusione.

“Possiamo continuare ad estrapolare informazioni che parlano direttamente ai pilastri di ciò che pensiamo di capire. Un giorno, questi dati potrebbero rilevare qualcosa che non ci aspettavamo”, afferma Maximiliamo Isi, ricercatore post-dottorato della NASA Einstein presso il Kavli Institute for Astrophysics and Space Research del MIT.

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Alessandro Limer