Il gender gap, ovvero il divario tra genere maschile e femminile, sembra estendersi sempre più in vari ambiti della vita quotidiana. Già presente nel mondo del lavoro, per quanto riguarda la disparità a livello di salario, oltre che di posizioni lavorative, non poteva non coinvolgere anche il mondo della ricerca. Più in generale, secondo le Nazioni Unite, le donne continuano ad essere escluse dalla partecipazione al mondo scientifico. Vengono meno riconosciute come esperte di un settore, ricevono meno premi, occupano meno posizioni di leadership, vengono meno prese in considerazione nel caso di pubblicazioni scientifiche o di conferenze. Tutto ciò è stato messo in evidenza da un’analisi effettuata dalla Dr. Paula Chatterjee e dalla Dr. Rachel M. Werner e pubblicata sulla rivista JAMA.
In generale, una persona che fa ricerca e scrive pubblicazioni ambisce a due titoli: first author (primo nome) o senior author (ultimo nome). Nel primo caso si viene citati negli articoli altrui, mentre nel secondo caso si rappresenta la persona di riferimento per l’articolo. In entrambi i casi, nonostante il numero di citazioni si traduca con un modesto successo accademico, le donne risultano svantaggiate rispetto agli uomini. Gli articoli scritti da donne vengono meno citati.
L’obiettivo dello studio, citato precedentemente, era quello di mettere a confronto il numero di citazioni per genere. In questa particolare ricerca, sono stati analizzati 5554 articoli, le donne hanno scritto 1975 articoli (35,6%) come autore principale e 1273 su 4940 (25,8%) come autore senior. Sono stati presi in considerazione articoli pubblicati su 5 importanti riviste accademiche tra il 2015 e il 2018: Annals of Internal Medicine, British Medical Journal, JAMA, JAMA Internal Medicine e The New England Journal of Medicine (NEJM). Gli articoli di ricerca originali con donne come autori primari e senior sono stati citati il minor numero di volte, diversamente da quelli aventi uomini come autori.
Non a caso, nei campi STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica), le donne rappresentano solo una piccola minoranza. Secondo i dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (UNESCO), solo il 33% dei ricercatori di tutto il mondo è di genere femminile. Questo non fa altro che spingerle ad abbandonare il mondo della ricerca o il mondo accademico. L’Italia con il suo 34% presenta una media leggermente più alta di quella mondiale, ma i passi da compiere sono ancora numerosi. Meglio Lettonia, Serbia, Montenegro, Lituania, Moldavia, Croazia, Bulgaria, Bosnia e Romania, che superano tutte il 45%.
Un altro lampante esempio di gender gap riguarda il premio Nobel: tra il 1901 e il 2019 ci sono stati ben 861 vincitori, contro 53 vincitrici. In passato, infatti, alle donne non era permesso studiare, sognare una carriera, tantomeno aspirare ad un premio del genere. La prima donna a vincere due premi Nobel è stata Marie Curie, il primo per la Fisica nel 1901 condiviso con il marito Pierre, il secondo per la Chimica nel 1911. Nel 1947 Gerty Cori vinse il premio Nobel per la Medicina. Wangari Maathai è stata la prima donna africana a ricevere il Nobel per la Pace nel 2004, condiviso con altre donne.
Numerose associazioni combattono apertamente contro la disparità di genere. L’UNESCO e l’UN-Women (l’organizzazione delle Nazioni Unite dedicata alla parità di genere) hanno istituito nel 2015 la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza che si celebra ogni 11 febbraio. L’obiettivo comune è quello di ottenere gli stessi diritti degli uomini in ambito lavorativo. La nota influencer e imprenditrice Chiara Ferragni sta continuando a battersi, al fianco delle donne. Insieme a Pantene e LVenture ha lanciato un concorso a favore dell’imprenditoria femminile. Si tratta di una call finalizzata a premiare le migliori idee proposte da start up composte da team in cui ci sia almeno il 50% di donne o altrimenti una Ceo donna.
Nell’ambito di tale progetto, Chiara Corazza, Rappresentante Speciale per il G7 e il G20 di Women’s Forum for the Economy & Society, afferma di aver lanciato She-covery. Lo scopo è quello di “proporre un cambio di paradigma in cui le donne saranno sempre più protagoniste, insieme agli uomini, nella ripartenza del Paese”.
Il divario da colmare è molto profondo, è necessario lavorare sulla mentalità di una società. Fin dall’epoca antica – si ricordi ad esempio il ruolo della domus in età arcaica e repubblicana – il destino delle donne è stato dettato dalla figura di un uomo predominate, che avesse qualsiasi tipo di diritto. Il cammino verso l’indipendenza è sempre stato lento e tortuoso. Il che sembra quasi un’assurdità. Da una parte le donne occidentali hanno raggiunto numerosi obiettivi, hanno ottenuto diritti e vengono ascoltate. Dall’altra parte però, le donne orientali ancora oggi hanno un unico destino, quello di essere sottomesse a strumenti di riproduzione.
Seguendo l’esempio di donne che hanno stravolto la storia è necessario continuare a lottare contro la disparità di genere. Donne nel mondo dello sport, della scienza, dell’aeronautica, della medicina, rappresentano lo spiraglio verso quella che ancora ci sembra un’utopia. Da Samanta Cristoforetti a Rita Levi Montalcini, da Federica Pellegrini a Coco Chanel, la lista è assai lunga. Non ci resta che continuare a scrivere in rosa i futuri nomi e dimostrare quanto valgano davvero le donne.