Spesso si sente parlare di gravità quantistica, ma meno frequentemente è chiara l’entità della sua portata.
Abbozzandone una definizione, si può dire che essa sia la teoria che affronta il problema di riconciliare la relatività generale di Einstein e la meccanica quantistica, ossia tenta di coronare la grande rivoluzione scientifica iniziata nel XX secolo. Nel 1900 le fondamenta della comunità scientifica sono scosse da queste due nuove teorie, entrambe coerenti ed esplicative della realtà, ma, ad una prima impressione, tra loro incompatibili. La teoria dei Loop e la teoria delle Stringhe sono ad oggi le due teorie più accreditate, anche se ancora da verificare.
La teoria dei Loop è stata sviluppata con un massiccio contributo da parte del fisico italiano Carlo Rovelli ed è un’importantissima teoria in grado di spiegare lo spaziotempo mettendo d’accordo la gravità, come definita dalla relatività generale di Einstein, e la meccanica quantistica. Cerchiamo di capirne il significato prendendo spunto dal bellissimo testo divulgativo scritto dallo stesso Rovelli: “Che cos’è il tempo? Che cos’è lo spazio?” (DR editore 2015).
Lo spazio è comunemente concepito come una tavola fissa sulla quale si muovono particelle soggette a forze. Questa idea statica di spazio è dovuta a Newton, che su di essa costruì la sua teoria. Nel 1915, Einstein con la relatività generale sconvolge questa concezione. Egli capisce che la forza di gravità è descrivibile attraverso il concetto di campo gravitazionale, che – al pari del campo elettromagnetico di Maxwell e Faraday, introdotto alla fine del 1800 – è rappresentabile come un insieme di linee. La relatività generale racchiude l’intuizione einstaniana più rivoluzionaria: il campo gravitazionale è lo spazio-tavola di Newton.
Con Einstein cade il riferimento assoluto di spazio newtoniano. Non esiste più una tavola su cui si svolgono i fatti del mondo, ma solo campi che vivono su altri campi. Essendo anch’esso un campo, lo spazio è descritto da equazioni, note oggi come equazioni di Einstein, che esprimono matematicamente come esso si muove, ondeggia e si piega. Si parla di relatività proprio perché la teoria nega l’esistenza di una posizione assoluta ed afferma, invece, l’esistenza della sola posizione relativa degli oggetti fisici uno rispetto all’altro.
Le onde gravitazionali, spesso citate, altro non sono che vibrazioni delle linee di Faraday del campo gravitazionale, o spazio, predette dalla teoria di Einstein e verifica sperimentale della sua esattezza.
Circa dieci anni prima di formulare la relatività generale, Einstein era arrivato ad un’altra conclusione epocale: lo spazio e il tempo sono due facce della stessa entità. Questa scoperta è nota come relatività ristretta o speciale. Einstein sgretola anche l’idea di tempo come grandezza fisica a sé stante e universale. Lo scienziato ci indica, al contrario, che ogni oggetto fisico dell’universo ha il suo tempo. Parlando di due entità separate dell’universo non ha senso domandarsi cosa stia accadendo ad esse “proprio adesso”: cadono il concetto di “prima”, di “dopo” e di “contemporaneità”. L’unica cosa che resta possibile è descrivere come i tempi di ogni entità si intersecano quando esse si incontrano o si inviano segnali. Sulla base di questo ragionamento non si può parlare di tempo e di spazio, ma solo di spaziotempo.
L’altro tassello della grande rivoluzione scientifica è la meccanica quantistica, come anticipato in precedenza. Si tratta di una teoria molto ampia e complessa, ma basata fondamentalmente sul concetto di quantizzazione delle grandezze fisiche e sulla visione probabilistica della dinamica. Su piccola scala le grandezze fisiche sono discrete: l’energia di un atomo assume livelli particolari, calcolabili teoricamente, mentre un campo elettromagnetico assume una struttura granulare i cui costituenti base, o quanti, sono le particelle note come fotoni. La visione probabilistica della dinamica, invece, implica che il modo in cui le entità si muovono non sia predicibile con assoluta certezza. Ragionando in termini quantistici si può solo calcolare precisamente la probabilità che qualcosa avvenga; il comportamento delle particelle è sempre descritto attraverso distribuzioni di probabilità e le osservazioni effettive si verificano “a caso” all’interno di queste.
Perché le due teorie, ancora oggi, non sono conciliabili? Il motivo risiede nei rispettivi modi di descrivere il mondo. La meccanica quantistica propone una nuova descrizione della materia e dell’energia basandosi sulla concezione classica di spazio e di tempo; la relatività stravolge la concezione di spazio e di tempo, ma rimane fedele alle vecchie nozioni di materia ed energia.
Finché non avremo trovato la quadra, la nostra visione della realtà rimarrà disconnessa. La gravità quantistica affronta proprio il problema della riconciliazione e da questo suo scopo ne scaturisce l’importanza.
La gravità quantistica nasce dalla fusione della relatività generale e della meccanica quantistica, a cui si aggiunge il contributo della relatività speciale. Sappiamo che lo spazio è un campo, precisamente è il campo gravitazionale di Einstein; ci è noto, poi, che spazio e tempo formano un tutt’uno indissolubile noto come spaziotempo. Lo spaziotempo è quindi un campo e, in quanto tale, su piccola scala deve essere discreto o quantizzato. Così come il campo elettromagnetico è formato da fotoni, lo spaziotempo deve essere granulare e, poiché soggetto alle leggi quantistiche, deve essere probabilistico.
Una trentina di anni fa, la gravità quantistica era ancora una teoria allo stato embrionale. Le soluzioni formali del problema si contavano sulla punta delle dita.
Il fisico John Wheeler ne aveva trovato una davvero interessante. Di certo non stupisce in quanto Wheeler è stato uno dei grandi protagonisti della fisica del ‘900. La sua carriera inizia, in gioventù, come collaboratore del grande Niels Bohr. Durante la Prima Guerra Mondiale contribuisce con i sui studi alla realizzazione della bomba atomica e, successivamente, si occupa di gravità diventando collaboratore di Einstein stesso. Wheeler è stato, per altro, maestro del grande Richard Feynman, premio Nobel nel 1965 per l’elaborazione dell’elettrodinamica quantistica. Tornando alla gravità quantistica, Wheeler ebbe l’intuizione di descrivere lo spaziotempo su scala microscopica come una schiuma fluttuante.
L’identità che formalizza matematicamente l’intuizione di uno spaziotempo “schiumoso” è nota come equazione di Wheeler-De Witt poiché fu scritta a quattro mani con un altro grande scienziato americano, Bryce De Witt. Le soluzioni dell’equazione hanno costituito per decenni un cruccio dalla matematica contorta e il significato fisico molto misterioso. Il fisico italiano Carlo Rovelli, insieme con lo scienziato statunitense Lee Smolin, ne ha trovato un’interpretazione plausibile che costituisce la cosiddetta teoria dei Loop.
La teoria dei Loop ha origine precisamente dalle strane soluzioni dell’equazione di Wheeler -De Witt trovate dal giovane americano Lee Smolin, in collaborazione con Ted Jacobson. La peculiarità era la dipendenza di ognuna di queste soluzioni da una curva chiusa disegnata nello spazio. Il significato fisico di questi anelli, o loop appunto, rimase oscuro finché, durante una passeggiata notturna, Rovelli e l’amico Lee ebbero la giusta intuizione: i loop sono le linee di Faraday del campo gravitazionale, cioè dello spazio. Di conseguenza, il campo gravitazionale è costituito dalle relazioni tra anellini di spazio, che quindi ne costituiscono i quanti. Ogni soluzione rappresenta un singolo anellino, mentre la sovrapposizione di molteplici soluzioni è la concretizzazione matematica dello spazio, o sarebbe meglio dire dello spaziotempo.
Fondamentale allo sviluppo della teoria fu la comprensione del significato dei punti di intersezione dei loop. I ricercatori ragionarono sulla grandezza fisica del volume, applicando la tecnica nota come calcolo dello spettro di un operatore, normalmente usata per calcolare i valori che può assumere una grandezza quantizzata. Perché proprio il volume? Il volume è la misura di quanto spazio c’è, quindi è una misura del campo gravitazionale. Ragionando in termini quantistici ipotizzarono che potesse non essere continuo, ma al contrario, che potesse avere valori discreti.
Il ragionamento si rivelò brillante. Calcoli ostici mostrarono come il volume sia una variabile discreta. Ogni intersezione di loop è sede di un quanto di volume, cioè di un quanto di spazio. Questo risultato cambiò allora la visione dello spaziotempo: si smise di parlare di un insieme di loop che si intersecano e si iniziò a concepire un insieme di punti collegati da linee. Ogni punto è un quanto di volume o grano di spazio e ogni linea, o loop, esprime la relazione tra i quanti del campo gravitazionale che collega. In inglese si parla di spin-networks poiché ad ogni linea è associato un valore di spin (numero semi-intero).
Ricapitolando con parole riassuntive il concetto appena espresso, possiamo dire che il campo gravitazionale sia una rete di spin formata da grani di spazio, ognuno corrispondente ad un valore possibile per la grandezza discreta del volume, e linee rappresentanti la relazione tra essi. Si stima che in una stanza di 100 metri cubi ci sia una quantità di grani di spazio esprimibile da un numero con circa 100 cifre (che però per la quantizzazione potrà assumere solo alcuni valori tra quello calcolati con la tecnica dello spettro.) Come cambia di conseguenza il concetto di area? Nel volume che ispira questo articolo, testo citato nelle fonti, Carlo Rovelli spiega che misurare l’area di una superficie significa contare il numero di loop della rete che la attraversa. Come per il volume, è possibile anche calcolare lo spettro dell’area, che è a sua volta, quindi, quantizzata.
Dire che area e volume sono variabili discrete è affermare che misurando lo spazio si otterranno solo i valori delle grandezze fisiche che sono per esse possibili e che sono stati calcolati attraverso la tecnica dello spettro. In particolare, tutta la teoria è scritta in termini probabilistici (si potrà sempre calcolare con certezza la probabilità che area o volume assumano un determinato valore, tra quelli possibili).
La teoria alternativa più studiata, che cerca di risolvere il problema della gravità quantistica, è quella delle stringhe. Qual’è la differenza? La teoria delle stringhe ipotizza che le particelle elementari siano in realtà piccole cordicelle interagenti che si muovono nello spazio. Questo significa che abbraccia ancora l’idea newtoniana di spazio-tempo, non incorporando fino in fondo la gravità generale. Qual è il suo punto di forza? La teoria delle stringhe rappresenta una teoria unificata di tutte le forze esistenti tra particelle.
Per concludere il dipinto della visione dell’universo che ci regala la teoria dei Loop non ci resta che snocciolare il contributo della relatività speciale, quindi il concetto di tempo. La gravità quantistica ci insegna che lo spazio di Newton, quello della concezione comune, non esiste. Ciò che esiste è un campo gravitazionale fatto di probabilità di quanti di spazio collegati in reti. Se spazio e tempo sono la stessa cosa, ossia lo spaziotempo, allora anche il tempo non esiste.
Nel mondo macroscopico possiamo permetterci di osservare la realtà in modo grossolano e assumere una variabile “t”. In meccanica quantistica occorre invece riformulare le leggi ex novo scrivendo ogni grandezza fisica effettivamente osservata nell’infinitamente piccolo come funzione di altre con cui è in relazione. Così come lo spazio è insieme di possibili relazioni tra quanti di volume, così il tempo è insieme di relazioni tra variabili fisiche osservabili, dati dalle possibili evoluzioni dell’una rispetto all’altra.
Spazio e tempo si fondono in un’unica entità e la loro concezione classica svanisce dietro al concetto di distribuzione di probabilità di relazioni tra grani di spaziotempo, cioè quanti (valori possibili) del campo gravitazionale.
La teoria dei Loop ha applicazioni che spaziano dallo studio del Big-Bang, alla cosmologia, ai buchi neri. Scendiamo più nel dettaglio portando due esempi massici .
Molto vicino all’Inizio, l’universo era probabilmente formato da pochi grani di spazio, quindi non è possibile approssimarlo come “continuo”, anzi è necessario tenere conto della sua granularità. Proprio per questo la teoria dei Loop permette di studiare in modo nuovo il Big-Bang. Ragionando sulle interazioni tra i primi grani di spazio e usando le equazioni della teoria dei Loop è possibile descrivere gli istanti appena successivi all’avvenimento.
Molto rilevante è anche l’applicazione nello studio delle proprietà termiche dei buchi neri. Negli anni ’70 Stephen Hawking capì che i buchi neri sono “caldi”, ovvero emettono radiazione termica ad una certa temperatura. Sappiamo che la temperatura è una misura dell’energia cinetica delle particelle costituenti la materia: gli atomi vibrano attorno a posizioni di equilibrio ed emettono onde, note come radiazione termica. Maggiore la temperatura, maggiore la frequenza di vibrazione. Cosa significa, allora, dire che un buco nero è caldo? Il buco nero è una regione dello spaziotempo, quindi, sulla base della teoria dei Loop si può dire che i singoli anelli che si trovano sulla sua superficie siano i costituenti di base che, vibrando, sono responsabili della temperatura, al pari degli atomi nei corpi che conosciamo.
Ad oggi la tecnologia non è ancora stata in grado di provare l’esattezza né della teoria delle stringhe, né della teoria dei Loop. Tuttavia, la teoria dei Loop è l’unica teoria della gravità quantistica che fornisca predizioni articolate e univoche, verificabili in linea di principio.
Per il verdetto definitivo non ci resta che attendere, avendo fede nell’immenso potenziale di questa teoria visionaria.
“Queste reti di spin che costituiscono il mondo bisogna pensarle fluttuanti, vibranti e pullulanti come i punti bianchi e neri di una televisione senza antenna, e la matematica della teoria descrive questo pullulare di reti di spin. Questa è una concretizzazione matematica precisa dell’idea intuitiva di Wheeler, secondo cui lo spazio, su piccola scala, non è più continuo.”
Carlo Rovelli
– Che cos’è il tempo? Che cos’è lo spazio? –
DR Edizioni 2015