Oggi la carriera di un matematico dipende dal numero di articoli che produce e, soprattutto, dall’importanza delle riviste scientifiche su cui li pubblica (l’Impact Factor di una rivista è un indice bibliometrico che misura il numero medio di citazioni ricevute, nell’anno di riferimento considerato, dagli articoli pubblicati dalla rivista stessa nei due anni precedenti). Ecco la storia delle formule di Cardano e di come siano state trovate.
Cinque secoli fa, la reputazione di un matematico, il rinnovo degli incarichi universitari e l’aumento di stipendio dipendevano in larga misura dal successo riportato in quelli che erano veri e propri “duelli”: modellati sui tornei cavallereschi, con tanto di guanti di sfida, testimoni, giudici e notai, prevedevano come armi non spade ma problemi scientifici e matematici da risolvere. Questo, probabilmente, era il motivo che spingeva molti matematici a mantenere gelosamente segrete le proprie scoperte: la continuità dell’impiego dipendeva dalla capacità di avere la meglio nelle pubbliche sfide sui problemi più vari e una importante scoperta rappresentava un’arma formidabile per decretare la sconfitta dell’avversario.
Ed è questo quello che fece Scipione Dal Ferro (1465-1526), professore di matematica presso la prestigiosa Università di Bologna, quando tra il 1505 e il 1515 riuscì per primo a trovare la formula risolutiva dell’equazione algebrica di terzo grado, priva del termine quadratico (x^2): x^3+mx+n=0.
Ora, non è chiara la ragione per cui decise di tenere nascosta tale eccezionale scoperta (forse non era pienamente soddisfatto dal momento che la sua formula non riguardava l’equazione completa di terzo grado). Di certo non sfruttò la sua straordinaria scoperta in nessuna sfida matematica, limitandosi a confidarla al suo studente, nonché genero, Annibale Della Nave, e ad un altro studente, il veneziano Antonio Maria del Fiore.
Quest’ultimo, a differenza del suo maestro, decise di sfruttare la formula segreta per ottenere oltre che fama e riconoscimento anche denaro e nel 1535 sfidò il matematico bresciano Niccolò Fontana, detto “il Tartaglia” (per via della sua balbuzie provocata da una sciabolata alla bocca, subita nel 1512 durante un attacco francese alla sua città), il quale nel 1530 aveva scoperto la formula risolutiva per le equazioni di terzo grado prive del termine lineare (x), x^3+mx^2+n=0.
Le regole della sfida prevedevano che ciascuno proponesse all’altro 30 problemi da risolvere entro un intervallo di tempo prestabilito. Il termine fu fissato per il 22 febbraio 1535 e, miracolosamente, Tartaglia riuscì a trovare la formula risolutiva anche per le equazioni di terzo grado prive del termine quadratico, qualche giorno prima della fine della gara: tale scoperta gli consentì di risolvere tutti e trenta i problemi posti da Fiore che, al contrario, non giunse alla soluzione di nessuno di quelli proposti dal suo avversario.
La notizia della vittoria di Tartaglia ai danni di Fiore si diffuse rapidamente e raggiunse anche Gerolamo Cardano (1501-1576), una delle più stravaganti e controverse figure del XVI secolo, medico, astrologo, giocatore d’azzardo, matematico e filosofo. Cardano tentò di convincere Tartaglia a rivelargli la formula segreta ma quest’ultimo, in un primo momento, si oppose fermamente dal momento che era sua intenzione pubblicare la scoperta in una sua opera futura.
“Ti giuro sui santi Vangeli di Dio – e come vero uomo d’onore – non soltanto di non pubblicare mai le tue scoperte, se me le insegnerai; ma ti prometto anche, offrendo in pegno la mia fede di buon cristiano, di annotarle in codice, così che dopo la mia morte nessuno sarà in grado di comprenderle.”
Dietro una tale insistenza e una così solenne promessa, Tartaglia si arrese fornendo a Cardano il metodo risolutivo con i versi di una poesia (si veda la figura, tenendo presente che nell’algebra retorica la “cosa” è la nostra incognita x). Ottenuta la soluzione dell’equazione cubica ridotta, cioè priva del termine quadratico, Cardano riuscì a risolvere l’equazione di terzo grado completa riconducendola in modo ingegnoso al caso noto.
Nel frattempo convinse il suo allievo Ludovico Ferrari (1522-1565) a dedicarsi alla ricerca della formula risolutiva dell’equazione di quarto grado, formula che questi ottenne nel 1540: peccato che ad un certo punto, in un passaggio della formula, si rendeva necessario risolvere un’equazione di terzo grado!
Ora mettetevi nei panni di Cardano: sapere di possedere dei risultati di straordinaria portata e non poterli pubblicare… Occorreva assolutamente fare in modo di annullare il giuramento fatto a Tartaglia. A tale scopo, Cardano decise di recarsi a Bologna dove, accompagnato da Ferrari, sfogliando le pagine di un quaderno che Dal Ferro aveva affidato in punto di morte ad Annibale della Nave, appurò che era stato proprio Dal Ferro e non Tartaglia il primo a ricavare la formula risolutiva delle cubiche ridotte.
Ritenendosi per questo motivo automaticamente sciolto dalla promessa fatta a Tartaglia, nel 1545 Cardano pubblicò il suo celebre trattato “Ars Magna” in cui erano presenti le formule risolutive delle equazioni di terzo e di quarto grado. Ovviamente la cosa non andò affatto giù a Tartaglia che si sentì tradito e defraudato della sua scoperta: per tutta la vita, nutrì un odio profondo nei confronti di Cardano.
A onor del vero, Cardano specificò nel suo trattato i meriti di Tartaglia, Dal Ferro e Ferrari, anche se oggi le formule risolutive dell’equazione cubica sono note come “formule di Cardano”. D’altra parte, anche Tartaglia non era certo un “santo”. Ad esempio, pubblicò a suo nome una traduzione di alcune opere di Archimede che, in realtà, era opera dello studioso fiammingo Guglielmo di Moerbecke. E presentò uno studio sulla meccanica di un corpo pesante su un piano inclinato che non era opera sua ma del matematico del Duecento Giordano Nemorario. Questa è sola una “sintesi” della complicata e affascinante storia di una formula che portò alla nascita della teoria dei gruppi.