La sicurezza di chi frequenta uno spazio chiuso, sia che si tratti di un contesto di lavoro sia che si tratti di un ambiente domestico, passa anche dalla qualità dell’aria che si respira: un aspetto che troppo spessi viene trascurato. Sarebbe opportuno domandarsi, invece, che cosa contiene quest’aria e in quali concentrazioni sono distribuiti gli elementi presenti in essa. Per questo sul mercato si possono trovare varie tipologie di sensori che aiutano ad monitorare costantemente le caratteristiche dell’aria, fermo restando che un ambiente per essere salubre deve sempre garantire un buon ricambio di aria, a maggior ragione da quando è scoppiata la pandemia da coronavirus.
I sensori di anidride carbonica, in particolare, possono essere di due tipi, a seconda delle tecnologie che vengono utilizzate per il loro funzionamento. Si dividono, infatti, tra i sensori di anidride carbonica termo-conduttivi e i sensori ottici NDIR, con l’acronimo NDIR che sta per Non-Dispersive Infra-Red, come per i sensori di CO2 di Repcom. La tecnologia ottica in particolare viene utilizzata e si fa apprezzare sia per la sua stabilità, che a livello di accuratezza nel range di misura compreso fra 400 e 10mila ppm. Il suo funzionamento prevede che la camera ottica in cui è presente la miscela di gas che deve essere analizzata venga attraversata da un fascio di infrarossi per arrivare a un ricevitore di infrarossi. Il fascio di infrarossi viene attenuato lungo il percorso dalla presenza di anidride carbonica: tale gas ha frequenze note, e per questo può essere riconosciuto, come se si trattasse di un’impronta digitale. Tanto più la concentrazione del gas è elevata quanto più ridotta è l’intensità del segnale che viene misurato: è per questo che si può conoscere con precisione il livello di anidride carbonica presente.
Un’altra tipologia di sensore utilizzato per valutare la qualità dell’aria va individuata nei sensori di particolato. Questo può essere originato dall’inquinamento atmosferico, ma non solo. Per esempio, nei luoghi chiusi si ha a che fare con le polveri sottili che possono essere prodotte dalla combustione delle candele e del legno, ma anche dai processi di cottura o dalle lavorazioni dei materiali. Le polveri sottili consistono in un pulviscolo molto fine e leggero, che proprio per questo motivo rimane sospeso nell’aria e, di conseguenza, può essere respirato. Ecco, quindi, che se si è interessati a controllare la qualità dell’aria negli ambienti chiusi si può ricorrere a un sensore di polveri sottili, anche per capire se sia il caso o meno di attivare i purificatori. È stato riscontrato che anche una modesta concentrazione di polveri sottili risulta associata all’aumento di disturbi come le bronchiti croniche o l’asma, che riguardano le funzionalità respiratorie, e addirittura della mortalità per malattie respiratorie.
La tecnologia laser-scattering applicata ai sensori di particolato assicura un livello di risoluzione molto elevato e, di conseguenza, offre la possibilità di individuare varie taglie di particolato sottile. La particolarità di tale tecnologia è rappresentata dal design del percorso di aria dentro al sensore, con il prelievo del campione di aria che viene gestito in modo autonomo per evitare che con il passare del tempo il sensore possa essere ostruito da depositi di polveri sottili. Vale la pena di tener presente che nei luoghi indoor la diffusione delle polveri sottili varia a seconda della sorgente. Con i sensori di particolato che utilizzano la tecnologia laser-scattering si ha l’opportunità di misurare la concentrazione di particolati di diametri differenti sia in stanze diverse che nelle stesse stanze a pochi metri di distanza.
Nel novero dei sensori che possono essere utilizzati per valutare la qualità dell’aria ci sono, poi, quelli di ossigeno. Esistono i sensori di ossigeno ottici e quelli allo zirconio: questi ultimi prevedono temperature molto alte, oltre i 650 gradi, in modo che l’ossido di zirconio possa liberare ioni ossigeno. In base alla pressione parziale che caratterizza l’ossigeno della miscela attorno, gli ioni ossigeno determinano una differenza di potenziale elettrico fra due elettrodi porosi che sono collocati alle estremità. La tensione di uscita variabile permette di conoscere il valore della pressione parziale di ossigeno.
La pressione parziale dell’ossigeno in un ambiente può essere misurata anche con un sensore di ossigeno ottico. Esso si basa sull’adozione di un materiale fluorescente che, dopo essere stato eccitato per un determinato lasso di tempo, acquisisce energia, che viene emessa come luce. Dal momento che l’ossigeno assorbe energia, tanto più breve è il tempo in cui si esaurisce la luminescenza quanto più elevata è la quantità di molecole di ossigeno. La pressione parziale di ossigeno viene calcolata grazie alla misurazione tempo di esaurimento della luminescenza che viene effettuata da un microprocessore, con la luce che è stata rilevata da un fotodiodo.