Instagram fa male ai giovani? Facciamo il punto
Negli ultimi giorni si è molto discusso delle dichiarazioni di Mark Zuckerberg, relative al rebranding del social network dei social network: Facebook. Secondo alcuni, questa novità rappresenterebbe qualcosa in più di una semplice “rinfrescata” al servizio: un tentativo, forse, di reagire alle polemiche sollevate da media e opinione pubblica in seguito alla divulgazione di alcuni dati da parte del Wall Street Journal, che mostrerebbero come Instagram abbia la capacità di intaccare la psiche dei più giovani, minandone l’autostima in una comparazione tossica con i modelli estetici ivi proposti.
Queste informazioni hanno avuto un’importante risonanza mediatica, poiché trovano origine proprio in documenti interni a Facebook, considerato quindi complice consapevole dei disagi psicologici e delle insicurezze di molti adolescenti nel mondo.
Instagram fa male ai giovani? Diamo uno sguardo ai dati
Per ottenere un quadro chiaro della situazione, è utile soffermarsi sui dati messi a disposizione dall’inchiesta del Wall Street Journal:
- i disagi di un adolescente su tre sono aggravati dall’uso della piattaforma visuale per eccellenza;
- il 32% delle adolescenti presenti nel campione d’indagine denuncia un inasprimento del malessere, causato da una cattiva percezione del proprio corpo a seguito della fruizione dei contenuti proposti da Instagram;
- in Gran Bretagna, il 13% degli utenti dichiara di aver formulato pensieri suicidi; in America il dato corrisponde al 6%.
Già nel 2017 erano stati resi pubblici dati interessanti rispetto all’impatto psicologico di Instagram e dei social network in generale. Il rapporto, a cura della Royal Society for Public Health, aveva generato una classifica delle piattaforme, disposte dalla meno dannosa alla più dannosa in termini di benessere psicologico. Anche questa volta il target di riferimento è giovanile. E anche questa volta Instagram non costituisce un esempio virtuoso, collocandosi in fondo alla classifica. Se il “social delle foto” è la più nociva delle piattaforme, YouTube si colloca in una posizione diametralmente opposta, emergendo come la migliore. A ben vedere, YouTube è davvero l’unica delle cinque piattaforme esaminate a ottenere una valutazione nel complesso positiva.
Social network e depressione?
I social network si configurano come uno spazio di condivisione basato sull’altrui feedback: non a caso uno dei principali indicatori di successo di un profilo Instagram è l’engagement, la risposta attiva degli utenti; e non è strano che, in un periodo della vita delicato come l’adolescenza, i giovani cerchino approvazione, risposte dai propri pari, senso di appartenenza online. D’altronde, tali dinamiche preesistono alla socialità sul web e fanno parte del vivere quotidiano anche offline. Questa naturale tendenza dell’essere umano, tuttavia, non sempre trova il riscontro sperato: in casi simili è possibile assistere all’acuirsi di stati d’ansia e/o depressivi.
Sono numerosi gli studi che mostrano una correlazione tra l’uso dei social network e la depressione giovanile e che finiscono dunque per trasformare questi spazi di condivisione virtuale in spazi di divisione, in cui un adolescente può sentirsi distante anni luce dai suoi coetanei e dai modelli di vita proposti online con cui vorrebbe, ma non riesce, a identificarsi. È proprio questo il tasto dolente di Instagram.
Instagram: il social network delle illusioni
I social network sono mutati nel tempo, assecondando esigenze e target diversi. Hanno cambiato focus, sono diventati più veloci. In alcuni casi si è assistito alla loro integrazione. Abbiamo conosciuto Facebook, più lento e testuale, improntato alla condivisione non solo dell’immagine, ma anche del discorso, della conversazione, della storia dell’utente. Siamo poi sbarcati su Instagram, più rapido e immediato, prevalentemente visivo, talvolta artistico; infine TikTok, in cui lo scrolling è l’attività preponderante e gli utenti possono dare sfogo alla propria creatività producendo contenuti originali o rivisitando a proprio modo i trend del momento.
Instagram non si limita a fornire uno spazio di condivisione dei ricordi, delle foto degli utenti. Il social è un luogo in cui vengono esposti la propria immagine, il proprio status quo, il proprio senso di appartenenza. Dal momento che la pubblicazione di contenuti contribuisce a creare una certa rappresentazione dell’utente, tutto ciò che è pubblicato viene prima analizzato e plasmato per veicolare una precisa idea di sé. Ne conseguono contenuti spontanei solo in apparenza, artefatti, modificati, corretti.
Gli influencer
Ciò trova la sua maggiore espressione nella figura dell’influencer: gli influencer raccontano su Instagram le loro vite patinate, attraverso storie e foto su feed armocromatici, condividono frammenti di una quotidianità spesso fittizia che chiaramente non tiene conto delle difficoltà, degli imprevisti, dei fisiologici momenti di buio della vita di ciascuno. La propria immagine è sottoposta ad aggiustamenti, attraverso filtri e attività di fotoritocco. Non è difficile intuire l’esito di tali dinamiche: gli adolescenti percepiscono ciò che vedono come desiderabile, anche se impossibile da raggiungere. Ne consegue un senso di frustrazione e inadeguatezza che non può che indebolire autostima e considerazione di sé.
Le risposte al problema, le possibili soluzioni
Instagram ha manifestato l’intenzione di rimuovere filtri di bellezza che suggeriscano il ricorso alla chirurgia estetica, ma le più audaci proposte di contrasto a questo sentirsi inadeguati non provengono dal social network “visual”: è stata, infatti, la Norvegia a imporre a tutti gli influencer di segnalare l’eventuale presenza di modifiche ai propri post. Una misura che ricorda parecchio l’obbligo, ormai diffuso, di rendere riconoscibili i contenuti a finalità promozionale tramite l’utilizzo dell’hashtag #adv, e che suggerisce tutta l’urgenza di correggere le debolezze di una piattaforma dall’alto potenziale creativo, ma che spesso inevitabilmente finisce per “vendere illusioni”.
Nick Clegg, vicepresidente degli affari globali e della comunicazione di Facebook, ha annunciato importanti modifiche, non ancora concretizzatesi, volte a contrastare il problema della comparazione tossica a modelli impossibili su Instagram.
Verificheremo i casi in cui un adolescente guarda lo stesso contenuto ancora e ancora, allontanandolo da quello in favore di altri qualora si tratti di qualcosa che possa non aiutare a farlo stare bene.
Nick Clegg
Instagram e i giovani: diffondere consapevolezza e responsabilità digitale
Come gestire allora il problema dei giovani su Instagram? La questione della tutela della psiche dei più giovani rispetto alla loro vita online ha condotto opinione pubblica e media a ricercare i responsabili del problema e a ipotizzarne soluzioni praticabili. Le piattaforme sono state chiamate a rispondere delle scoraggianti evidenze emerse in merito al loro impatto sul benessere psicologico degli adolescenti e, in particolare, delle giovani donne; va, tuttavia, stemperata una narrazione eccessivamente demonizzante, che finisce per non tenere conto di altri fattori importanti.
Le piattaforme si rifanno infatti non tanto al mondo dell’informazione, quanto a quello della comunicazione. Di per sé non producono nulla, sono luoghi riempiti dagli utenti che li popolano, un mezzo attraverso cui gli individui trasmettono i propri messaggi. Ciò mette in evidenzia come, nella vita online, trovino ulteriore spazio difetti e virtù che preesistono nella società “offline” di riferimento. Urge dunque intervenire, in prima istanza, sulla società stessa, attuando piani di responsabilizzazione e consapevolezza digitale. È probabile che la strada da seguire sia quella di una “strategia integrata”, che necessita dell’intervento di più agenti, ad esempio:
- istituzioni. Si pensi all’importanza della formazione scolastica in materia di accettazione della diversità, o agli eventuali disegni di legge volti a contrastare cyberbullismo ed hate speech, possibili conseguenze del radicarsi di modelli irraggiungibili cui tendere;
- piattaforme. Non si può prescindere da un loro intervento, poiché le logiche algoritmiche e la moderazione giocherebbero un ruolo di primo piano in tal senso;
- media tradizionali, fondamentali nella diffusione della conoscenza, potrebbero fornire un aiuto non indifferente alle iniziative di istituzioni e piattaforme.
Una strategia integrata richiede tempo e piena consapevolezza del problema da parte di chiunque possa svolgere un ruolo attivo nella sua risoluzione. Qualche piccolo passo è stato già compiuto, inchiesta dopo inchiesta, ricerca dopo ricerca, ma il cammino rimane lungo e tortuoso. Motivo in più per affrettarsi a percorrerlo e garantire un corretto uso di Instagram ai giovani.
A cura di Ivana Lupo