Il Natale e le sue conseguenze sul cervello
“It’s the most wonderful time of the year” cantava lo statunitense Andy Williams per la prima volta nel 1962. Il periodo più bello dell’anno quello del Natale, secondo buona parte del mondo o il più stressante secondo altri. Un lasso di tempo che porta con sé un mix di emozioni per tutte le età; dallo stupore dei bambini per il fatidico momento dell’apertura dei regali, all’organizzazione meticolosa degli adulti per imbandire la tavola con cibi di tutti i tipi e soprattutto tipici del luogo.
L’impatto del periodo natalizio è sicuramente forte non solo da un punto di vista religioso per i credenti, ma anche da un punto di vista sociale, culturale e anche fortemente economico.
Come il Natale influenza l’umore
«In un mondo pieno di stress e ansia la gente associa ciò che è correlato al Natale alla felicità, evocando forti sentimenti legati all’infanzia. Le decorazioni sono semplicemente un’ancora alle emozioni e all’eccitamento di quando eravamo bambini».
Dott. Steve McKeown, psicologo
Se per molti il periodo natalizio è legato a sole emozioni positive e innalzamenti di serotonina (l’ormone del “buonumore”), per molti altri l’unico desiderio è quello che passi il più velocemente possibile. Esiste infatti la cosidetta “Bah Humbug syndrome”, che riguarda il disinteresse e persino il fastidio nei confronti del periodo delle festività. Questo nome proviene da un’esclamazione del personaggio principale del romanzo breve “A Christmas Carol” di Charles Dickens, Ebenezer Scrooge, che odiava profondamente il Natale.
Uno studio danese
L’Università della Danimarca nel 2015 ha condotto uno studio per valutare quale fosse l’effetto dello “spirito natalizio” sul cervello umano. Sono state coinvolte in totale venti persone, con un differente background. Dieci persone che abitualmente festeggiavano il Natale fin dalla loro giovinezza e dieci che invece non avevano tradizioni natalizie. Lo scopo era quello di valutare l’attivazione di alcune aree del cervello in seguito a stimolazione visiva con immagini a tema natalizio mediante la metodica fMRI (Risonanza magnetica funzionale, che misura il flusso sanguigno per valutare l’attività cerebrale).
Le 84 immagini mostrate ai partecipanti, che non sapevano inizialmente quale fosse il tema dello studio, venivano mostrate per un tempo di due secondi. Alcune erano con rappresentazioni strettamente correlate al Natale (l’albero, le luci e decorazioni), altre erano immagini “neutre”, con caratteristiche simili alle prime ma senza alcun riferimento ai simboli natalizi. Successivamente ai partecipanti sono state proposte delle domande relative alla loro etnia, al loro background culturale e su quali fossero le loro tipiche abitudini natalizie.
Gli scienziati hanno valutato la coorte di studio mentre osservava le immagini, analizzando eventuali cambiamenti nell’attività cerebrale in base al tipo di immagine presentata. L’ipotesi era una differente attivazione cerebrale in base alla familiarità alle tradizioni natalizie.
Cosa è emerso dallo studio
I risultati dello studio hanno messo in evidenza come, durante la visualizzazione delle immagini a tema natalizio, il cervello delle dieci persone con abitudini natalizie (che avevano quindi delle emozioni positive nei confronti della festività) si era attivato in modo più significativo rispetto al secondo gruppo.
Le aree del cervello maggiormente attivate erano ad esempio il lobo parietale destro e sinistro, il cui ruolo è importante nella comprensione della realtà che circonda; la corteccia premotoria, posta nel lobo frontale, i cui neuroni codificano informazioni e le confrontano; la corteccia somatosensoriale, coinvolta nell’interpretazione delle espressioni facciali e corporee.
Dallo studio, sembra che i ricercatori abbiano compreso che l’attivazione di tutte queste aree sia dovuta a network cerebrali legati a sensazioni come la gioia, maggiormente rappresentata appunto nelle persone che associavano il Natale ad emozioni positive; si parla infatti del cosidetto “Christmas cheer”, ovvero “spirito del Natale”. Come suggerito dagli autori, capire meglio questi network potrebbe essere utile nel campo della neuropsicobiologia e un importante strumento nel trattamento di disturbi come la sopracitata “bah humbug syndrome”. Questo studio si presenta come un punto di partenza per capire meglio l’interazione tra l’uomo e le tradizioni delle festività nelle varie culture.